PALERMO – ‘Peppuccio’ Tornatore, come lo chiamano tutti, è una persona gentile e tranquilla. Lo attende, davanti ai cancelli della Rai, una folla stupefacente di ammiratori, studenti di Belle Arti, amici – moltissimi che proprio alla Rai lo hanno conosciuto – semplici cinefili. L’avvenimento – la presentazione del suo ultimo film “La migliore offerta”, dal 1 gennaio nelle sale con grande successo – perde rapidamente i suoi contorni legati all’occasionalità e acquisisce quelli di una lezione magistrale, garbata e affettuosa, sul mestiere di regista. Mentre sullo schermo scorrono i fotogrammi dei primi documentari conservati nelle teche Rai, Tornatore racconta i suoi esordi, il super otto, le sostituzioni, l’incontro con Rosi; e subito appare chiaro che la materia di cui è fatta la sua arte è la competenza tecnica straordinaria.
Il taglio, il montaggio, il colore di ogni singola parla prima delle parole. E racconta la storia sempre uguale e sempre diversa della Sicilia di Tornatore, dolente e lieve. Ma quanto c’è della Sicilia in questo suo ultimo film (un progetto internazionale, dal cast stellare: Geoffreey Rush, Sylvia Hoeks, Jim Sturges e Donald Sutherland), il cui protagonista si chiama Virgil Oldman ed è un affermato battitore di aste? Ben poco parrebbe: i protagonisti, le cui storie apprendiamo attraverso la lettura – di Gabriella Guaerneri – di tre frammenti della sceneggiatura, edita da Sellerio, sono sfuggenti e misteriosi.
Affabile, carismatico, maniacale e solo (spietatamente solo) Virgil; affascinante e schiva, Claire, la donna che irrompe nella sua vita in modo insolito e impetuoso. Una città sullo sfondo: Praga. La migliore offerta è, dice Tornatore, una storia d’amore. Ma è raccontata come un thriller, con le pause, le sospensioni, i vuoti, le geometrie che si sviluppano fra i personaggi tipiche di un serratissimo giallo. Ed è raccontata dal punto di vista del protagonista, come una lunghissima soggettiva. Come solo Tornatore poteva immaginare. Ma la linearità della trama è illusoria e superficiale: al di sotto di ciò che la camera – cioè lo sguardo del protagonista – mostra, si intuiscono infatti le altre storie, sotterranee, non mostrate. Che creano la profondità del racconto.
Una storia che ruota intorno, anche, ad una straordinaria trovata scenica e psicologica: Oldman coltiva infatti una strana predilezione. Egli colleziona ritratti femminili, che sembrano (per la loro peculiarità di guardare l’asse ottico) fissare chiunque li fissi, da qualunque prospettiva. In una scena memorabile la camera guarda l’immensa collezione, migliaia di volti, di pittori celebri e non. Non è questa l’unica ossessione di Virgil Oldman. L’antiquario è infatti maniaco dell’igiene. Frequenta uno e un solo ristorante, in cui si premura che stoviglie e posate siano oltre che pulite, adibite a suo uso esclusivo. Ossessione altrettanto maniacalmente osservata e descritta dal regista. Non stupirà sapere che, come Tornatore ha raccontato, il modello di questo tratto caratteriale del misterioso Oldman è “u pulitu”: un incredibile e anonimo siciliano (di Porticello, per la precisione) che, analfabeta, portava sempre con sé una penna. Per non sporcarsi le mani, dovendo occasionalmente toccare un campanello o spostare un oggetto. Così è la creazione artistica, capace di unire nel più imprevedibile dei modi un raffinato antiquario internazionale a “u pulitu” di Porticello!