Trapani, restituiti i beni ai Morici: confisca ridimensionata - Live Sicilia

Trapani, restituiti i beni ai Morici: confisca ridimensionata

Secondo i giudici della Corte d'appello non tutto il patrimonio era di provenienza mafiosa
LA SENTENZA
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TRAPANI – Non è un patrimonio del tutto proveniente dalla vicinanza al circuito mafioso locale. Con questa motivazione la quinta sezione della Corte di appello di Palermo (presidente Montalbano, a latere Tomaselli e Raimondo), respingendo la richiesta del procuratore generale, ha revocato una gran parte della confisca che in primo grado, nel 2017, aveva colpito l’imprenditore trapanese Francesco Morici, nel frattempo deceduto, la moglie, Sebastiana Tosto e i figli, che hanno ereditato dal padre il lavoro di impresa, (Vincenzo, ex presidente del sindacato degli edili di Confindustria Trapani, e Maria).

Se la confisca di primo grado si aggirava sui 20 milioni di euro oggi, all’esito della decisione dei giudici di appello, si è ridimensionata a quasi un milione e mezzo di euro. I giudici, che al pari di quelli di primo grado non hanno comunque riconosciuto la pericolosità sociale e quindi la sorveglianza speciale in capo a Vincenzo Morici (dichiarazione che venne omessa per il padre, perché intanto deceduto) hanno liberato dal vincolo della confisca il patrimonio immobiliare e i conti correnti, non tutti con saldo positivo, appartenenti ad alcune società della holding Morici. Si tratta di una delle imprese che è stata per decenni fiore all’occhiello dell’imprenditoria trapanese e che però venne travolta dalle indagini della squadra mobile e della divisione Anticrimine che misero in luce le interconnessioni con la locale cosca mafiosa.

E se il risultato investigativo trovò conferma nel sequestro preventivo e poi nella confisca, oggi è stato ridimensionato, anche se nelle 75 pagine di motivazioni, i giudici d’appello hanno sottolineato che la crescita dell’impresa, soprattutto nel periodo di guida del suo fondatore, Francesco Morici, fu possibile grazie al tavolino dove politici, imprese e burocrati pubblici, con la regia mafiosa, decidevano la aggiudicazione pilotata degli appalti in cambio di mazzette e tangenti.

La Corte d’appello si è soffermata sull’attività dell’impresa Coling spa, escludendo le altre imprese del gruppo imprenditoriale dal controllo di Cosa nostra. La Coling fu la società che si aggiudicò importanti commesse pubbliche: quelli ritenuti dai giudici rientranti nella gestione mafiosa furono i lavori per la costruzione della galleria di Scindo Passo a Favignana e per la realizzazione della funivia di Erice. Appalti che sarebbero stati inseriti nella gestione mafiosa delle pubbliche commesse, passata dalle mani di Vincenzo Virga, nel frattempo arrestato dalla polizia nel 2001 dopo sette anni di latitanza, a quelle di Francesco Pace.

Vicende raccontate nel dettaglio dal collaboratore di giustizia Nino Birrittella che anche i giudici di appello hanno riconosciuto essere perfettamente attendibile. Il “padrino” Ciccio Pace si pronunciava così su Morici senior: “Dobbiamo favorire perché ci consente di ottenere rilevanti commesse”. L’appalto delle opere, in particolare quelle bandite dall’amministrazione provinciale, in quell’inizio degli anni duemila, non era soggetto alla legge ma dipendeva dai voleri del valdericino Tommaso “Masino” Coppola: era lui che per conto di don Ciccio Pace spartiva la torta delle gare. Appalti truccati con la complicità di ingegneri e impiegati amministrativi. E se la difesa dei Morici sia nel giudizio davanti al Tribunale e poi in Appello ha nuovamente scelto di dire che gli imprenditori non sapevano nulla della spartizione degli appalti e che semmai si erano trovati vessati dalle richieste di pagamento di mazzette, i giudici di appello hanno anche loro rimarcato che non si può parlare di “appalti vinti a loro insaputa”, ritenendo anche Vincenzo Morici ben a conoscenza dei contatti del padre con la cosca mafiosa e con il tavolino di spartizione delle opere pubbliche.

I giudici hanno però escluso dal controllo mafioso la gara vinta per i lavori di costruzione delle banchine del porto di Trapani. Anche se qui c’è un particolare: per come ha riferito l’imprenditore Frittella, fu proprio Vincenzo Morici a dirgli, in un periodo antecedente alla svolgimento della gara di appalto, che la sua impresa si sarebbe aggiudicata i lavori al porto di Trapani, per la banchina di Ronciglio. Tirando fuori un nome pesante, quello dell’allora sottosegretario all’Interno, senatore Tonino D’Alì: “Per i rapporti che mio padre ha con D’Alì puoi stare certo che l’appalto sarà aggiudicato a noi”. Il nome di D’Alì, intanto condannato a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è venuto fuori anche dalla voce dei pubblici funzionari della Provincia che si muovevano su ordine di Masino Coppola. Al senatore si rivolgevano per far dirimere le questioni.

La Coling dei Morici “era all’interno di una trama di cointeressi mafiosi” scrivono i giudici: “La Coling a partire dagli anni ’90, dai lavori per la galleria di Scindo Passo a Favignana, è stata una impresa mafiosa…la Coling ha costituito strumento di guadagno per la consorteria mafiosa”. L’appalto per la costruzione delle banchine di Ronciglio, hanno sostenuto adesso i giudici, “non è da inserirsi in una cornice mafiosa”. L’intervento di D’Alì “non è risultato legato a patti mafiosi”, tant’è che, hanno osservato i giudici, “non ha costituito contestazione nel relativo processo penale” dove D’Alì è stato condannato per i suoi contatti con Cosa nostra trapanese.

L’aspetto emerso è pure rilevante, non c’entra la mafia, ma è espressione “della illiceità che ha comunque permeato l’attività della Coling”. Esclusi anche dal circuito mafioso altri appalti, quelli per eliminare le barriere architettoniche presso l’ospedale di Trapani, per la litoranea nord della città, e quelli realizzati a Custonaci, per un canale di gronda e un canale di scolo. Si è in presenza di fatti che non rientrano “in un paradigma criminoso”. Si tratta semmai di violazione di normative sugli appalti, di mancati adempimenti contrattuali, “ma non rappresentano elementi tali da poter parlare di frodi in pubbliche forniture”. Fuori dal controllo mafioso le imprese “Morici Francesco & C” , e “Morici Immobiliare di Morici Francesco & C”, e quelle individuali “Morici Francesco” e “Morici Vincenzo”, “non hanno tratto vantaggi da relazioni con Cosa nostra”. Tra i beni restituiti anche i crediti vantati dal gruppo Morici per la gestione con il gruppo D’Angelo dell’oramai dismesso Cantiere Navale Trapanese.


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