PALERMO – “Un giorno Gioè mi disse: ‘cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?”’. Lo ha raccontato l’ex collaboratore di giustizia ed eversore nero Paolo Bellini, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. La sinistra frase detta dal boss stragista e profetica, visti gli attentati mafiosi del ’93 al patrimonio artistico italiano, sarebbe stata riferita da Bellini al maresciallo Roberto Tempesta, il sottufficiale in servizio al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico che avrebbe fatto infiltrare Bellini nella mafia. ”Ma quando dissi al maresciallo Tempesta quella frase cosa fecero? Nulla di nulla”, ha concluso Bellini.
La deposizione di Bellini era iniziata con il racconto della sua vita criminale. Ex ‘ndranghetista, militante in Avanguardia Nazionale e vicino al mondo dell’eversione nera, Bellini viene sentito nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma.
“Ero schifato dopo la strage di Capaci, capivo che si doveva fare qualcosa anche perché io non sono mai stato un terrorista – ha aggiunto -. Per questo accettati la proposta del maresciallo dell’Arma Roberto Tempesta di infiltrarmi in Cosa nostra con la scusa del recupero di opere d’arte rubate. E perché l’operazione partisse venne chiesta l’autorizzazione dell’allora colonnello Mori che era al Ros”.
“Ad agosto del 1992 vidi Tempesta, che era al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico – ha raccontato – Già ci eravamo conosciuti e lui lanciò lì la proposta dicendo che doveva passare attraverso Mori. Arrivò l’ok del colonnello e io andai in Sicilia a contattare un mio vecchio compagno di cella, Antonino Gioè (boss stragista morto suicida in carcere ndr) “. A Gioè Bellini dà una busta con l’elenco delle opere da recuperare. “Gli specificai – ha aggiunto – che il mio interlocutore era il ministero dei Beni culturali, lui mi chiese se per caso mi mandava la massoneria e che in quel caso non c’erano problemi perché aveva direttamente la possibilità di avere rapporti con la massoneria trapanese”.
Bellini, presunto protagonista di una sorta di trattativa parallela tra mafia ed esponenti dei carabinieri finalizzata al recupero delle opere artistiche rubate, ha raccontato anche degli omicidi commessi tra cui quello del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, la sua affiliazione alla ndrangheta e la latitanza sotto falsa identità trascorsa in Brasile. Ad aiutare Bellini a lasciare l’Italia sarebbero stati personaggi di Avanguardia Nazionale di Massa Carrara. Pur con difficoltà dovute alla malattia da cui è affetto, che ha conseguenze sulla memoria, Bellini sta ricostruendo i periodi di detenzione trascorsi in Italia. Nel periodo in cui è stato in cella il testimone usava un’altra identità spacciandosi per Roberto Da Silva. Sottoposto a programma di protezione per la sua collaborazione con la giustizia, programma che non gli è stato rinnovato, ora Bellini è libero.