Sarà Piergiorgio Morosini il giudice dell’udienza preliminare dell’inchiesta sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Il magistrato romagnolo è stato scelto dal presidente dell’ufficio gip del tribunale di Palermo, Cesare Vincenti, e dall’aggiunto Gioacchino Scaduto.
Morosini è a Palermo dai primi anni ’90, prima come giudice della sesta sezione del tribunale e poi dal 2005 all’ufficio gip. Toccherà dunque al segretario nazionale di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra delle toghe, esaminare i quasi 120 faldoni di cui è composta l’inchiesta. Martedì scorso i magistrati Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene hanno chiesto il processo per dodici persone: i mafiosi Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Nino Cinà, gli alti ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, gli esponenti politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino. Nella richiesta di rinvio a giudizio c’è anche Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo e principale teste dell’inchiesta. A parte Mancino, indagato per falsa testimonianza, e Ciancimino Junior, accusato di concorso esterno a Cosa Nostra, l’accusa per tutti gli altri è violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato.
È per questo motivo che la principale parte lesa della Trattativa sarebbe stata individuata dagli inquirenti nel consiglio dei ministri pro tempore. Che nel momento in cui si aprirà il processo dovrà quindi decidere se costituirsi o meno parte civile. Secondo indiscrezioni alcuni degli indagati eccellenti sarebbero orientati a chiedere un processo secondo i riti alternativi.
Tra le possibili parti civili anche l’attuale sottosegretario ai servizi segreti ed ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, che sarebbe stato calunniato da Massimo Ciancimino. Parte lesa della trattativa sarebbe anche la famiglia di Salvo Lima, la moglie Giulia Maria Lo Valvo e i figli Marcello e Susanna. L’europarlamentare della Democrazia Cristiana venne assassinato il 12 marzo del 1992 a Mondello: quell’omicidio è considerato dagli inquirenti il primo “atto di guerra” da parte di Cosa Nostra ai politici, colpevoli di non aver saputo neutralizzare le sentenze del maxi processo, divenute definitive il 30 gennaio del 1992.