Riceviamo e pubblichiamo la lettera del procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi.
Egr. dott. Sottile,
presumo – devo presumere – che Le sia sfuggita di mano la penna (o la tastiera).
Abituata ad eseguire i Suoi ordini precisi, arguti, a volte aspri e sempre diretti, questa volta la Sua penna deve essersi autonomamente avventurata verso un percorso diverso, denso di paragoni e paradossi che rischiano di non raggiungere la meta prefissata.
Mi riferisco al Suo articolo “Il relitto della trattativa”, pubblicato su Il Foglio e poi ripreso dal sito di Livesicilia, ove l’ho letto con qualche ritardo.
Intendiamoci: non mi permetto di criticare l’articolo, che già dal titolo, oltre che dall’occhiello e dal sommario, individua chiaramente una posizione già espressa in precedenti Suoi pezzi. Lei ha, come tutti, il sacrosanto diritto di criticare – anche severamente – qualsiasi iniziativa giudiziaria della Procura di Palermo (o di altri uffici); ricevere critiche è ormai da tempo parte del nostro mestiere e ci arricchisce, Lei ed altri lo avete fatto in passato (anche quando tanti altri Suoi colleghi sugli stessi argomenti si sperticavano in lodi) e mi auguro sinceramente che continuiate a farlo in futuro.
Il problema non è la critica o il corpo dell’articolo (lo “svolgimento”). Il problema deriva dal “prologo”.
Trasformare un processo penale (che è una cosa seria per tutti, accusati ed accusatori, giudici e difensori) o anche solo un’iniziativa adottata nell’ambito di un processo penale in una sorta di disfida adolescenziale ad esibire la propria virilità, così dimostrando di essere “masculiddi”, è quanto meno ingeneroso, non solo per gli accusatori, ma anche per gli accusati, i difensori ed i giudici che dovranno decidere.
Paragonare poi un’iniziativa processuale ad un ulteriore sfoggio di virilità, quale quello prodotto dalle voglie sessuali di un soggetto, per tale ragione (a quanto parrebbe) morto ammazzato, è più che ingeneroso, è – a mio sommesso parere – irrispettoso (qualcuno meno moderato di me, in altri tempi e non conoscendoLa, lo avrebbe definito quasi intimidatorio).
E’ solo per questo che Le scrivo, dott. Sottile, convinto che la Sua penna stavolta non abbia correttamente eseguito i Suoi ordini.
Guardi, Le do una notizia in anteprima, a rischio di beccarmi una reprimenda da parte del Presidente della Corte d’Assise di Palermo, che – come Lei giustamente dice – governa l’aula con nervi saldi e davanti al quale questa notizia avrebbe dovuto essere data. Già da diverse settimane, ben prima dunque del Suo articolo, i Pubblici Ministeri che seguono il c.d. processo trattativa (e che, come Lei sa, in udienza sono autonomi per legge) mi avevano informato che avrebbero chiesto di rinunziare all’audizione diretta del Presidente Emerito Ciampi, proprio in considerazione della sua età e delle sue precarie condizioni di salute; aspettavano solo il maturarsi delle condizioni processualmente corrette per informare la Corte di tale decisione. Nonostante la testimonianza fosse stata a suo tempo già ammessa dalla Corte di Assise, chiederanno quindi di acquisire i verbali delle dichiarazioni rese dallo stesso Presidente Emerito, confidando che non vi siano opposizioni da parte dei difensori. Vede che bravi masculiddi?
Vede, dott. Sottile, proprio il Presidente Ciampi aveva – durante il suo settennato – invitato tutti ad avere rispetto della Magistratura e dei magistrati; e lo stesso hanno fatto poi i Presidenti Napolitano e Mattarella. Solo di questo abbiamo bisogno, di rispetto, non di effimeri consensi o di indiscriminati e poco meditati plausi (ed applausi). Ben vengano le critiche, aspre, severe, puntute, ma si fermino – per favore – sulla soglia del rispetto dell’altrui persona, ché sennò le generalizzazioni sono facili e nessuno ne esce indenne.
E’ solo per questo che ho ritenuto di scriverLe, e non per l’imbarazzo che ho provato nel leggere l’accostamento tra il sig. Ammirata ed i Pubblici Ministeri dell’Ufficio da me diretto, anche accettando l’ulteriore rischio – che chi invia una rettifica, una precisazione, un chiarimento sa di correre – di vedere decostruita questa mia con sapienti argomentazioni destinate a “metterci il carico”. Motivo per il quale Le assicuro che non ritornerò sull’argomento.
Ed è solo per questo che Le chiedo di far sì che la Sua penna riprenda ad andare giù pesante tutte le volte che ritiene, non chiedendole di scusarsi ma magari dicendole “torna a bordo”.
E siccome Il Foglio a Palermo non arriva (non si sa perché), oso pure chiederLe di postare questa lettera anche sul sito di Livesicilia, da Lei diretto.
Cordialmente.
Francesco Lo Voi
Egregio dottor Lo Voi,
grazie anzi tutto per il tono elegante della Sua lettera. L’articolo a cui fa riferimento, del resto, non aveva altro scopo se non quello di mostrare l’uso improprio – ribaldo, stavo per dire – che dell’inchiesta sulla Trattativa è stato fatto fuori e dentro la magistratura.
Mi ha molto colpito la levità con la quale lei ha lasciato cadere la parola “intimidatorio”, che in altri tempi veniva usata spesso, da quelle parti, per criminalizzare qualsiasi critica e qualsiasi dissenso. Quella parola, così ruvida e verminosa, per fortuna non appartiene a lei come non appartiene a me. Lasciamola dunque all’antimafia delle stimmate, caro Procuratore. Lasciamola a quei professionisti dell’azzardo giudiziario che sulle inchieste roboanti hanno tentato di costruire carriere molto più grandi della loro storia e delle loro capacità. Sono i processi imbastiti sul nulla che finiscono per calpestare i diritti e la dignità degli uomini. Sono quelle le spregiudicatezze che provocano dolori e afflizioni, non la mia metafora lieve su masculi e masculiddi. Con la stima di sempre,
Giuseppe Sottile