PALERMO – Totò Riina avrebbe cercato di avviare una trattativa con lo Stato italiano per il tramite di sue conoscenze negli Usa. Lo ha raccontato, all’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia, Paolo Bellini, estremista di destra ed esperto d’arte, citato a deporre dal gup Piergiorgio Morosini, a Palermo. Il teste ha risposto alle domande dell’avvocato Basilio Milio, legale di uno degli imputati, il generale dei carabinieri Mario Mori, accusato di avere fatto da intermediario tra Cosa nostra e i vertici delle istituzioni italiane per fermare le stragi.
A raccontare della “trattativa americana” a Bellini fu Nino Gioé, tra i killer della strage di Capaci, morto suicida in carcere. Gioé e il teste si erano conosciuti negli anni ’80 in un istituto di pena. Nel ’91 si erano rivisti: Bellini, su input della polizia, cercava di recuperare alcune opere d’arte rubate a Modena. E si rivolse a Gioé per capire se avrebbe potuto ritrovarle tramite Cosa nostra. Tra i due nacque una sorta di collaborazione. Qualche mese dopo il ruolo di intermediario di Bellini sarebbe stato in qualche modo autorizzato da Mori. Cosa nostra avrebbe offerto alcune opere d’arte rubate chiedendo in cambio i domiciliari per 5 boss storici. Ma la cosa non andò a buon fine. Il teste seppe da Gioé che non se ne sarebbe fatto più nulla e dedusse che in corso c’era una trattativa più grossa. Con i vertici del governo, racconta. Per i pm il riferimento sarebbe al dialogo portato avanti da Mori. Ma oggi, su contestazione del legale, Bellini ha ricordato che Gioé gli parlò di “una trattativa triangolare fra Italia e Stati Uniti d’America”. L’udienza è stata rinviata al 28 febbraio per la riapertura delle discussioni delle parti.