CATANIA – Diciannove anni e otto mesi di carcere per l’omicidio di Agatino Fichera, il sessantenne trovato carbonizzato all’interno di una monovolume nelle campagne di Misterbianco due anni fa. Questa la pena stabilita dal Gup Anna Maggiore al termine del processo con il rito abbreviato a carico di Marco Santangelo, accusato di aver prima ucciso il suocero e poi di aver bruciato il corpo, con l’aiuto del fratello Riccardo, condannato a tre anni di reclusione. E’ questo uno dei casi di sentenza in cui sarà fondamentale leggere le motivazioni per poter comprendere la decisione del Gup a emettere una condanna con questa pena. Anche perchè il pm Serpotta aveva chiesto una condanna all’ergastolo per l’imputato arrestato a settembre del 2014 dai carabinieri. L’avvocato Francesco Messina invece aveva chiesto per il suo assistito (Marco Santangelo) l’assoluzione per mancanza – secondo la difesa – di un apparato probatorio schiacciante.
Nel corso delle udienze accusa e difesa hanno ripercorso i tasselli delle indagini che hanno portato i carabinieri e gli inquirenti a chiudere il cerchio sui due fratelli Santangelo e a cristallizzare il movente per una “questione di denaro”. Gli imputati hanno sempre rigettato le pesanti accuse. Il corpo carbonizzato di Agatino Fichera fu trovato sul sedile posteriore della sua Fiat Doblò il 31 gennaio 2014. L’auto era parcheggiata in contrada Sieli, tra Misterbianco e Motta Sant’Anastasia. Fichera, a causa di dissidi familiari, viveva nella sua piccola bottega di Monte Palma: dopo il ritrovamento del cadavere (sottoposto all’esame del dna per il riconoscimento) il negozio è stato setacciato e analizzato palmo a palmo dagli investigatori. Furono trovate tracce di sangue che portarono a localizzarlo come il luogo dell’assassinio. Anche se – secondo gli inquirenti – la scena del crimine era stata ripulita, addirittura nel momento dell’arresto dei fratelli Santangelo si parlò di candeggina.
L’autopsia ha dato un dato certo: Fichera era già morto quando fu appiccato l’incendio al Doblò. Non è stata stabilita, invece, l’ora della morte – come è stato ribadito più volte dalla difesa durante l’arringa – che potrebbe quindi essere avvenuta anche diverse ore prima il ritrovamento del cadavere in contrada Sieli. Un elemento che per l’accusa non avrebbe rilievo vista la mole di indizi a carico dei due imputati. Nella tasca della giacca di Agatino Fichera i carabinieri trovano un registratore in cui era inciso un audio: la vittima aveva paura che qualcuno potesse attentare alla sua vita, con la sua famiglia i rapporti ormai erano insanabili.
E i parenti agli inquirenti avrebbero rilasciato testimonianze contraddittorie. Ma quello che avrebbe inchiodato i due imputati sarebbero stati alcuni filmati che immortalano la Fiat Doblò la notte del 30 gennaio seguita da una Fiat Uno bianca. Il percorso è dal supermercato (dove al piano di sopra abitano i parenti di Fichera) e la zona vicina al ritrovamento del corpo carbonizzato in auto. Riccardo Santangelo era alla guida della Fiat Uno: la prima volta guidava da solo dietro il Doblò, la seconda accanto a lui c’era il fratello Marco, che in quel periodo era ai domiciliari. Immediatamente dopo l’arresto partono alcune intercettazioni ai familiari del fratello Riccardo: per l’accusa alcune conversazioni confermerebbero la ricostruzione degli inquirenti. Una ricostruzione, invece, contestata dalla difesa che ha più volte evidenziato che quello a carico dei Santangelo sia un processo indiziario. La sentenza, infatti, ha lasciato insoddisfatto l’avvocato Francesco Messina che attende di leggere le motivazioni (che saranno depositate entro 90 giorni) per presentare il ricorso in appello.