“Si sarebbe dovuta prendere per buona l’ipotesi che l’imputato – hanno spiegato gli avvocati Mauro Torti e Massimiliano Bellini – avesse cercato, riuscendoci, di farsi beffa di autorevoli inquirenti. Ed invece abbiamo fatto emergere che non c’è stata alcuna irregolarità”.
E per dimostrarlo i legali si sono affidati ad un super consulente, il generale della finanza, oggi in congedo, Umberto Rapetto. Un guru in tema di intercettazioni e frodi telematiche, tanto da meritarsi, quando indossava la divisa, l’appellativo di “sceriffo del web”.
L’accusa sosteneva che Sabato, gonfiando le fatture, avrebbe fatto guadagnare 53 mila euro alla sua azienda, pagati dal ministero della Giustizia. Nel mirino finirono due decreti di videosorveglianza. A chiedere che venissero accese le telecamere a caccia di prove erano stati gli agenti della Squadra mobile di Caltanissetta. L’iter burocratico prevede l’ok della Procura e il via libera di un giudice.
Lavoro complicato quello delle intercettazioni che viene affidato, ormai per consuetudine, a fidate ditte esterne, come la V. Technologies. Secondo la Procura, Sabato avrebbe fatto carte false per fare emergere un numero di “rilanci” maggiore di quelli effettivamente eseguiti. I rilanci altro non sono che i passaggi per trasferite il segnale, e in questo caso le immagini, dalla telecamera al centro di raccolta. Nel corso del processo, i legali hanno fatto emergere che non si sarebbe trattato di mere ripetizioni con fine di lucro illecito. Il complicato sistema tecnologico prevede delle cosiddette linee di sicurezza. Se, cioè, dovesse malauguratamente andare via il segnale, si attiva un’altra linea che prosegue la registrazione ed evita che si perdano immagini o audio preziosi per le indagini. In ogni caso, hanno sostenuto i legali, sci sarebbe stato a monte un errore di individuazione, visto che Sabato era un impiegato del settore commerciale e non il legale rappresentante della società.