PALERMO – Giuseppe Tuzzolino aveva un solo obiettivo. Mettere a verbale tutto, tutto ciò che la sua memoria incamerava leggendo i giornali, guardando la televisione e consultando Internet.
Tra le pieghe delle sue fantasie che gli sono costate, nelle scorse settimane, l’arresto per calunnia chiesto dai pm di Caltanissetta, spuntano interrogatori con vorticosi intrecci di fatti e nomi. Si fa fatica a seguire il ragionamento dell’architetto agrigentino ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia e ora rinchiuso in carcere.
Il suo pezzo forte erano gli attentati ai magistrati. Così ha raccontato di avere saputo dei piani di morte orditi da Matteo Messina Denaro di cui l’avvocato marchigiano Ennio Sciamanna, uno dei calunniati, era diventato portavoce. Il legale è stato preso di mira da Tuzzolino, ma nel confronto a due sono state smascherate le bugie dell’architetto. Dovevano morire in tanti: il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, l’aggiunto Teresa Principato (oggi alla Dna), il procuratore di Trapani Marcello Viola (ora alla Procura generale di Firenze), il sostituto Marco Verzera, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.
Per ammazzarli si erano mobilitati, oltre al latitante di Castelvetrano, quelli della Banda della Magliana, i Casamonica di Roma, e pure Massimo Carminati, il nero di Mafia Capitale. Tuzzolino era una spugna: seguiva la cronaca giudiziaria, assimilava notizie e le riversava negli interrogatori.
Un grande appassionato di cronaca nazionale e locale. Lo Voi doveva morire perché “stava indagando sul figlioccio di Messina Denaro che ha un negozio di abbigliamento a Palermo”. Si riferiva agli imprenditori Niceta, il cui patrimonio è sotto sequestro da anni su decisione delle misure di prevenzione. Una vicenda di cui si è scritto molto. Tuzzolino aveva saputo che si era mobilitato Francesco Guttadauro, il nipote del cuore del latitante trapanese, per fare una cortesia ai mafiosi di Bagheria che stavano proteggendo la fuga di Messina Denaro. Con Lo Voi la musica era cambiata, altro che il suo predecessore Francesco Messineo. Con Messineo infatti, così Tuzzolino diceva di avere saputo da Sciamanna, “erano più garantiti perché le indagini non costituivano un pericolo per Messina Denaro”.
Sul fronte attentatiti Sciamanna gli disse che “Messina Denaro non aveva alcuna volontà di uccidere il dottore Di Matteo”, proprio nei giorni in cui tanto si parlava dell’attentato al pm della Trattativa. Altri pentiti avevano riferito di avere saputo che l’ordine di ucciderlo era arrivato dal capomafia latitante. Un tema su cui si è molto discusso. Tuzzolino non ha perso l’occasione di dire la sua. Viola, invece, avrebbe dovuto essere morto da un pezzo solo che Messina Denaro “non lo ha ammazzato prima perché non voleva guai a Trapani”. E perché lo voleva morto? Perché Viola aveva dato molto fastidio a un personaggio importante. E chi poteva essere se non il “senatore D’Alì che costituisce un punto di riferimento importante per la latitanza del predetto”.
L’architetto-pentito mentre parlava di mafia e massoneria tirava in ballo mille altri fatti: dall’omicidio del giornalista Mino Pecoreolli alle fantomatiche minacce subite dalla moglie e “provenienti da Silvio Cuffaro”, il fratello dell’ex presidente della Regione siciliana.
Gli ultimi nomi eccellenti li ha fatti il 21 giugno scorso quando ha detto di conoscere un progetto di attentato ai danni degli onorevoli Rosi Bindi e Claudio Fava della Commissione parlamentare antimafia. Un “progetto del quale avrebbe avuto cognizione anche il fratello Sergio”. Già, le sue fantasie non hanno risparmiato neppure i parenti che lo hanno sconfessato. Per un periodo la sua credibilità ha retto, poi a Palermo hanno iniziato a capire che qualcosa non andava. Durante uno dei suoi interrogatori Tuzzolino ha fatto, tra gli altri, anche il nome di un magistrato. E così per competenza le indagini sono passate a Caltanissetta. Una verifica attenta, nome per nome, quella compiuta dai pm nisseni. Da qui la richiesta di arresto accolta dal giudice per le indagini preliminari.