PALERMO – Le condanne sono state confermate in appello. Pietro Mazzara e Maurizio Pirrotta sono stati ritenuti colpevoli dell’omicidio di Antonino Zito, ucciso a colpi di pistola e poi bruciato. Sono stati condannati a trent’anni il primo e a 27 anni e quattro mesi il secondo. Zito, 32 anni, fruttivendolo del rione Falsomiele, fu freddato il 18 dicembre del 2012 con un colpo di pistola alla testa, esploso mentre era seduto o inginocchiato. Il corpo venne ritrovato distrutto dalle fiamme in contrada Spedalotto Valdina, a Santa Flavia. Carmelo Ferrara, imputato per favoreggiamento, è stato condannato a 4 anni, uno in meno del giudizio di primo grado..
Zito era stato scarcerato pochi mesi prima del delitto. In carcere c’era finito tre volte fra il 2008 e il 2010 per spaccio di droga, ricettazione e rapina. Libero grazie all’indulto non aveva perso tempo per rimettersi nel giro della criminalità. La moglie, Rosa Ancilio, parte civile al processo con l’assistenza dell’avvocato Monica Genovese, sapeva tutto: “Aveva avuto contrasti con Mazzara per il controllo dello spaccio. Mazzara si voleva appropriare della piazza. Me lo ha raccontato mio marito. Dopo la sua morte se l’è presa questo Mazzara”. “Sono stati loro, se lo sono venduti”, aveva riferito la donna, ripetendo quando detto poche ore dopo il ritrovamento del cadavere. Mentre il corpo del marito era all’obitorio del Policlinico, Anaclio si avvicinò a Pietro Mazzara che “era lì con un gruppo di amici” e lo prese a schiaffi: “Perché non lo dici che sei stato tu l’ultimo a vedere mio marito”. In aula aggiunse: “Io l’ho schiaffeggiato, ho saputo che era stato con lui fino all’ultimo, era uno de suoi amici. Lo so, sono stati loro. Ero a casa e lui non tornava. Avvertiva sempre. Lo abbiamo cercato tutta la notte. Poi, ho saputo che aveva preso fuoco la baracca”.
Il riferimento era al chiosco di bibite, gestito da Ferrara, all’incrocio fra le vie del Levriere e del Bassotto, nel quartiere Bonagia dove il delitto sarebbe stato consumato. Le indagini sono partire da quella struttura in legno. O meglio, da ciò che restava di essa, misteriosamente data alle fiamme poche ore dopo il delitto. È il posto dove la sorella di Zito, Angela, ha visto per l’ultima volta il fratello, poche ore prima della scomparsa. Il cadavere, reso irriconoscibile dal fuoco, fu identificato grazie ad alcuni tatuaggi e, soprattutto, alla fede nuziale.