"Ucciso perché parlava troppo"|Chiesta condanna all'ergastolo - Live Sicilia

“Ucciso perché parlava troppo”|Chiesta condanna all’ergastolo

Alla sbarra i due imputati accusati di aver assassinato il paternese Emanuele Di Cavolo.
LA REQUISITORIA
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CATANIA – Condannare Antonio Barbagallo e Samuele Cannavò all’ergastolo per l’omicidio di Emanuele Di Cavolo, brutalmente ucciso il 20 gennaio 2018 a Ramacca. È stata questa la richiesta avanzata dalla pm Antonella Barrera al gup Carlo Alberto Cannella al termine della requisitoria in cui ha analizzato l’imponente apparato probatorio composto da intercettazioni, tracce genetiche e test balistici raccolti durante le indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Catania. 

LE INDAGINI 

Un’inchiesta che prende corpo mentre i militari stanno monitorando il clan Rapisarda di Paternò, storici referenti dei Laudani di Catania. Di Cavolo, conosciuto come Saddam, sarebbe stato ucciso da uomini del suo stesso gruppo criminale perché “ritenuto soggetto inaffidabile”. Avrebbe avuto la cattiva “abitudine di parlare troppo e di mettere in giro voci denigratorie nei confronti di altri sodali”. E così sarebbe stato deciso di “eliminarlo”. Per depistare le indagini i killer avrebbero deciso di ammazzarlo lontano da Paternò, in contrada Gaeto a Ramacca nei pressi della diga di Ogliastro. Hanno sparato con una 38 special, Di Cavolo ha tentato la fuga ma attraversata la galleria è caduto a terra e qui i sicari lo hanno massacrato a colpi di pietra fino a tumefargli il volto. 

IL MEMORIALE 

Quando è arrivata l’udienza preliminare, uno degli imputati ha depositato un memoriale. Una confessione piena quella di Samuele Cannavò che si è addossato tutta la colpa scagionando Barbagallo. Un racconto che in alcune parti è coincidente con le dichiarazioni spontanee che anche il co-imputato ha voluto fare. Un risvolto processuale che non ha convinto la pm che ha chiesto ai carabinieri di avviare una precisa indagine che ha portato al sequestro di alcune lettere dove si evincerebbe una sorta di accordo sulla “versione” da offrire al giudice. La pm Antonella Barrera ha chiesto l’acquisizione di ‘questa nuova documentazione’ ma nella scorsa udienza il gup – sciogliendo la riserva – non ha ammesso il deposito. Il sostituto procuratore della Dda ha dunque iniziato la discussione puntando sulle numerose prove raccolte a carico degli imputati. 

L’ULTIMA CENA 

Di Cavolo, la sera prima dell’omicidio, ha condiviso una cena a base di “pane condito” a casa di Ninuzzo Barbagallo. Ed è infatti a lui che i parenti la mattina dopo chiamano chiedendo informazioni su “Saddam”. Le telefonate, tutte intercettate dai carabinieri, fin dall’inizio muovono sospetti negli investigatori. E così inizia un’attività mirata a far luce sull’efferato delitto di Ramacca. Pezzo dopo pezzo, le indagini conducono a nomi dei due imputati, che quella notte di inverno del 2018 per uno strano motivo spengono i cellulari. Barbagallo quando lo riaccende inizia a contattare la sua ‘amante’ catanese, a cui chiede ‘ospitalità’. In quei dialoghi si parla di un berretto perso, di scarpe macchiate di sangue, di una ferita alla mano. E poi gli esami balistici che farebbero risalire i proiettili esplosi a un’arma usata per una rapina di diverso tempo fa. E chi è sotto processo per quell’azione criminale? Proprio Barbagallo a cui sarebbero riconducibili anche una parte delle tracce ematiche trovate sulla scena del crimine. Ogni tassello del mosaico è stato descritto dalla pm Barrera al gup, che per i due imputati ha chiesto il massimo della pena prevista.  Alle richieste della procura si è unito l’avvocato della parte civile. 

LA DIFESA

Il gup ha aggiornato l’udienza preliminare al prossimo 1 ottobre, quando si svolgeranno le arringhe della difesa. Sarà il turno dell’avvocato Vittorio Lo Presti, difensore di Barbagallo, e dell’avvocato Massimo D’Urso, che assiste Cannavò. Già quel giorno il gup potrebbe ritirarsi in camera di consiglio per la sentenza. 

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