Moris Carrozzieri ha il crisma dell’eccesso, della stranezza, dell’irregolarità. Più fenomeno da baraccone che uomo, con quelle forme gigantesche da donna cannone. Più cavernicolo che giocatore di calcio. Quando esce dall’area, ruggisce, sbatte le braccione sui fianchi e urla il suo slogan di guerra. Gli manca giusto la clava per dare più sostanza. Se giocano insieme, il pallido Kjaer sembra Nureyev, Moris somiglia a Fred Flinstone: Wilmaaaaaa! Ci siamo capiti?
E adesso, tra gli eccessi, questa storiaccia insuperabilmente eccessiva alla cocaina, questa positività ai controlli che lascia tutti a bocca aperta. E poi quel nome nato da uno sbaglio. Da un distratto impiegato dell’anagrafe che al posto di Maurice scrisse la sua pronuncia Moris. Ecco, uno così originale – nel bene e nel male – solo una cosa non merita proprio: che gli sia applicato come una facile decalcomania il luogo comune dei calciatori tutti veline, soldi e droga. Il tipo si presta parecchio per consuetudine di vita – dicono – alla facile equazione. Però non sempre è detto che la realtà corrisponda alla superficie. Esistono correnti intime e profonde perfino negli uomini che paiono squadernati, definiti, perfettamente intellegibili. Calma e gesso, per piacere.
La cronaca di una giornata che ha segnato in nero il cuore degli appassionati del Palermo è cominciata con una scarna agenzia pomeridiana. Poche, ma bastevoli righe. Il difensore del Palermo Moris Carrozzieri è stato trovato positivo alla cocaina a seguito del controllo disposto dal Cca Coni il 5 aprile scorso, in occasione della gara di campionato Palermo-Torino. Lo ha rilevato il laboratorio di Roma nel primo campione sottoposto ad analisi. Appresso le sagge parole di Zamparini che parla di insicurezza e di aiuto da offrire. E l’affetto di un amico come Stefano Colantuono: “Moris è un ragazzo generoso, non buttategli la croce addosso”. No, non ci comporteremo come i fustigatori ai margini della Via Crucis. Certo, vorremmo capire. Ma cosa vuoi capire, direbbe il pragmatico Cola, stringendo le spalle. Forse capire perché uno che ha tutto debba darsi in braccio alla coca. O forse si potrebbe andare oltre anche, superando la banalità di questo giudizio. E capire davvero che, alle volte, non basta una maglia-armatura per ripararti dalla fragilità, dalle crepe, dal dolore a cui non sai dare un nome.
La prassi – insiste ancora Colantuono – suggerisce di attendere le controanalisi. Attenderemo e in caso di conferma appenderemo molto presto Moris alla parete dei ricordi. Lo rammenteremo poderoso e impettito, mentre randella il pallone nell’area di rigore. Nella foto di gruppo della memoria, lui avrà sempre quel posto da fenomeno di baraccone, il posto del ripetente della classe che è immancabilmente il più alto. Il posto dolente dello sconfitto.
Partecipa al dibattito: commenta questo articolo