PALERMO- Da bambini era facile giocare a nascondino. Con l’aiuto della fantasia avevamo escogitato un tecnica infallibile per non farci trovare. Chiudevamo gli occhi. Se noi non potevamo vedere gli altri, gli altri nemmeno ci avrebbero visto. Avrebbero potuto reclamare, protestare che non era vero. Ma il regolamento non ammetteva deroghe. Non vedi. Non sei visto.
Ora sarebbe il caso di riaprire gli occhi e scoprire che Carmela era nascosta da qualche parte e aveva appena chiuso i suoi. Che noi non la vedevamo, perché lei non ci vedeva. Perché questo era in fondo il senso di quel nascondino: tornare a spalancare lo sguardo. Uscire dal buio. Svegliarsi dal sonno. E sarebbe bello saper inventare un bacio per risvegliarla come nelle favole. Per ridarla ai suoi genitori Serafino e Giusy, a suo fratello Antonino, a sua sorella Lucia. Sono stati grandi per la forza, per la dignità con cui hanno attraversato trecentosessantacinque giorni di assenza, fino all’anniversario di oggi.
Un anno fa, un tizio con gli occhiali e il coltello uccise Carmela Petrucci e ferì gravemente sua sorella Lucia, la vittima predestinata del suo agguato. Samuele Caruso interpretò un flirt giovanile con Lucia alla stregua di un marchio di possesso assoluto, di diritto di vita e di morte. Non arrivò alla conclusione violenta con un ragionamento. Seguì il suo istinto di maschio, realizzando un orrendo gesto di devastazione. Molte coltellate causarono un danno irreparabile nella morte di Carmela, che difese la sorella, nel dolore insuperabile di una famiglia.
Via Uditore appare sempre pietrificata nell’istante del delitto. Qui, nel primissimo pomeriggio, Samuele si presentò sotto casa di Carmela e Lucia appena tornate da scuola. C’è qualche foglia sul marciapiede. Il viavai del venerdì non contempla variazioni. Buste della spesa, passi spediti. Dietro il muro, in un appartamento come tanti, regnano il lutto e il valore. Papà Serafino ha il volto di un uomo severo, con gli occhi ironici. Mamma Giusy ha la faccia bianca. Il colore è andato via dalle guance. Antonino, il fratello, e Lucia, la sorella, sono un impasto di intrecci inspiegabili. La ragazza è segnata dalle cicatrici. Sul viso ha i capelli lunghi. Così li ricordiamo, nelle poche occasioni di un incontro casuale, senza parole e senza domande. Lucia – dicono – ha smarrito il sorriso ed è tanto colma di rimorsi che in una zona della sua anima brucia il sentimento di colpa dei sopravvissuti, di chi pensa: è morta per me. Non c’è colpa, si è trattato di amore, il contrario. Però il fuoco brucia lo stesso.
Anche i compagni di scuola sono diventati grandi in fretta. Hanno dovuto assumere il contegno degli adulti davanti a un evento tragico, nato a sorpresa in un autunno più simile all’estate. Sono stati bravi, i ragazzi del liceo. Hanno consolato e sostenuto, guidati dalla forza di un preside e professori impareggiabili. Come Lucia conservano ferite di vario grado. Come per Lucia e per tutti, per quanto sembri incredibile, la gioia di vivere, un giorno, ritornerà.
Ricordiamo – brutta parola a diciassette anni – Carmela. di cui sappiamo tutto, cioè niente. Era una bambina dolcissima, che sognava un futuro dedicato agli altri, mentre navigava sopra un banco fiorito di scritte, nel liceo ‘Umberto’. Di lei abbiamo qualche foto, come questa. Nella luce dello sguardo, soffia una serietà, stemperata da un sorriso infantile. Il sorriso è per il nascondino: uno, due, tre. Alla fine della conta, gli occhi si riaprono. E comincia la corsa.