Guardando l’ordinanza di chiusura degli hotspot del presidente Musumeci da un punto di vista squisitamente del consenso politico (ma ogni politico agisce anche in base al consenso e al suo calcolo), a prescindere dalla drammatica rilevanza della questione, si può forse dire che il suddetto ha preso un rischio calcolato.
Nello, ‘l’uomo del fare’?
Un passo indietro. Quando Nello Musumeci si insediò a Palazzo d’Orleans, al posto di Rosario Crocetta, pure quelli che non l’avevano votato sperarono che fosse un uomo del fare, esattamente come quelli che l’avevano votato. Uno che si sarebbe messo a testa bassa a risolvere i problemi della Sicilia, senza nemmeno dare troppo peso alla sua estrazione ideologica di destra. E che avrebbe fatto della concretezza, in antitesi all’annuncite rimproverata da più parti al suo predecessore, il segno distintivo del suo governo.
Ora, la famosa ordinanza sui migranti ha sviluppato l’atteso e furibondo dibattito, ma sono tanti – come si legge sui social, quale che sia la loro bandiera – a giudicarla, in un senso o nell’altro, ‘provocatoria’. Cioè, non portatrice di effetti reali, ma simbolica e destinata soprattutto ‘a rompere il silenzio’.
Sono, per esempio, le parole di Totò Martello il sindaco Pd di Lampedusa: “L’ordinanza di Musumeci ha un solo merito: quello di far tornare al centro dell’attenzione il problema delle migrazioni e di rompere il silenzio assordante del presidente del Consiglio e del governo su una emergenza drammatica, questo è il vero sbaglio (…). Chiariamo: l’ordinanza di Musumeci è un errore, non funziona perché si occupa di cose per cui la Regione non ha pertinenza. Chiudi gli hotspot? E dove le metti le persone? Però ha smosso le acque”.
Ovviamente, il presidente della Regione difende la sua linea e garantisce di volere andare fino in fondo, né a riguardo si possono avere certezze assolute. Tuttavia, nella valutazione generale, l’ordinanza è stata accolta come una (salutare o nefanda) ‘provocazione’.
Il rischio calcolato
Ecco che si capisce la portata del rischio. ‘L’uomo del fare’ si sarebbe affidato, dunque, a un’azione simbolica quanto concretamente improduttiva. Un’evenienza che, se confermata, potrebbe, alla lunga, caricare di ombre e interrogativi la migliore arma propagandistica del governatore: il suo presentarsi come un politico senza chiacchiere, né distintivi, capace di incidere con una approfondita opera di rinnovamento.
Ma, nell’assenza del governo nazionale che, in un tempo ancora più difficile, ha affrontato la questione delle persone migranti con una narrazione ordinaria, senza approntare misure percettibili, senza riuscire a imporne la condivisione in Europa, senza che il Presidente del Consiglio abbia preso pubblicamente di petto l’argomento con la necessaria consapevolezza, perfino i simboli possono contare più dei fatti, quando i fatti non ci sono. Quel rischio politico è stato verosimilmente calcolato al millesimo, sfruttando l’impalpabilità di chi dovrebbe provvedere e rovesciando il campo da gioco, per trasformarlo in opportunità di ulteriore crescita, proprio nel consenso. E l’azzardo potrebbe funzionare.
Il punto del presidente
Musumeci, infatti, segna un punto di popolarità, forse decisivo e duraturo, quando dice: “Gli hotspot e i centri di accoglienza non sono rispondenti ai criteri di prevenzione previsti in una condizione di emergenza da epidemia. Se noi chiediamo alla gente di stare a un metro di distanza, di stare attenti, se emaniamo provvedimenti duri sulle discoteche, è mai possibile che in un salone debbano starci 700 persone? Non importa a quale nazionalità appartengano, sono esseri umani che si trovano sul terriorio della mia Regione e io sono il soggetto attuatore dell’emergenza coronavirus, a meno che quei locali non siano zona franca”.
Così, si pone lui stesso come difensore della salute di tutti, nel silenzio dei palazzi romani. Una mossa plastica e retorica che potrebbe, appunto, dare i suoi frutti nell’immediato e dopo.