Nella sua breve vita felice, Francesco ha avuto un merito fondamentale: togliere peso inutile alle cose. Non c’era tema su cui non si potesse scherzare, non c’era problema che potesse spegnere il suo sorriso, non c’era serratura che resistesse al grimaldello di una battuta.
Nel gioco difficile dell’esistenza c’era sempre – dico sempre – una risata a celebrare una vittoria o a diluire il peso di una sconfitta.
Il suo ironico senso del tragico ci ha regalato momenti indimenticabili, insieme a quel campione mondiale di cinismo applicato al giornalismo che era il caro Armando Vaccarella. Erano una coppia detonante, due risate acute, inarrestabili quando trovavano il bersaglio adeguato: che era sempre un potente, un ricco, un cretino o un presuntuoso.
Scriveva sempre, Francesco. Per mestiere – velocissimo a impilare 60 righe di fondo alle dieci di sera -, e per ordine mentale. Scriveva con quella sua grafia ordinata, lo “stampatello Foresta” lo chiamavamo, senza mai un refuso, uno scarabocchio, una sbavatura. Era l’unico mancino del mondo che non si macchiava d’inchiostro. Era anche l’unico daltonico che scoprì di esserlo quando scrisse, sbagliando, che una nota parlamentare era andata vestita di rosso comunista a una manifestazione di Forza Italia.
Al giornale, nei momenti di stress o di casino, diceva sempre: “Picciotti, la vita è fuori”. E sorrideva inventandosi una simmetria in quel sorriso sbilenco che stilava un compromesso tra i suoi occhi da monello e lo sguardo attento di uno che odiava le apparenze.
Conosceva tutti ma frequentava quasi nessuno, scioglieva nodi ma aveva cura della trama, alleggeriva ma sapeva pesare bene eventi e persone. Poteva vedere uno per la prima volta, lasciarsi affascinare da un’idea e inventarsi un nuovo percorso da un momento all’altro. Poteva chiamarti a qualunque ora del giorno (o della notte) per raccontarti una cosa di te che manco più ti ricordavi ma che lo divertiva tantissimo. Poteva imparare senza chiedere e chiedere solo per il gusto di ascoltare. Poteva essere l’amico ideale, il marito migliore, il giornalista più geniale.
E invece ha incontrato il Maligno. Che non ha spento lui, ma tutti noi.
Senza Francesco il nostro mondo, di notizie, di notti lunghe, di ricordi che si sgranano come un rosario, di risate che coprono il pianto, di carta e web, di abbracci e cazzeggio, si appesantisce di colpo. Le lacrime non hanno più un sorriso in cui nascondersi, i ricordi si impastano, le lunghe notti sono solo maledette notti insonni. E vaffanculo alle notizie: che gusto c’è a raccontare se non racconti per primo a lui?
La vita è fuori. Fuori dove, Francesco caro? Dacci un’idea, inventa uno scherzo dei tuoi. Regalaci un’ultima risata perché fuori, in questo momento, c’è solo un orribile, pesante buio.