PALERMO – C’è chi dice no. Anche in Sicilia. Anche nel Partito democratico. E così, a Matteo Renzi tocca tornare, a distanza di venti giorni. Dopo lunghi mesi di legislatura nei quali l’Isola era rimasta fuori dai radar del premier. Il presidente del Consiglio oggi sarà a Catania, Ragusa e Siracusa, domani sarà il turno di Caltanissetta e Palermo. L’obiettivo, ovviamente, ben guarnito da nuovi patti, nuovi programmi, nuovi piani di investimento, è quello di spingere il “sì” alla riforma costituzionale, in una Regione dove le percentuali del “no” sembrano altissime. Insomma, l’esito di un referendum decisivo per il destino politico di Renzi e del Pd, passa anche dalla Sicilia.
Il Sì di Mirello
Ma proprio il Pd non sembra affatto “allineato e coperto”. Nonostante i democratici abbiano raccolto delle adesioni quantomeno insperate. È il caso di Mirello Crisafulli, ex “impresentabile” e pochi giorni fa immortalato al fianco del sottosegretario al Miur Davide Faraone. Lo stesso, per intenderci, che da un po’ tenta in tutti i modi di chiudere l’università rumena del ras di Enna. Un ateneo definito da Faraone poco più che una truffa. Eppure, ecco che per il referendum cadono steccati e pregiudizi. Mirello, dopo avere, in passato, fatto il sibillino si è reinventato “sandwich-man” in difesa delle ragioni del Sì. Celebrate al fianco di uno dei più assidui frequentatori di quella Leopolda dalla quale, ad esempio, il regista Pif suggerì una “fatwa” politica nei confronti di Mirello. Tutto dimenticato.
Crocetta e Cracolici dalla parte di Renzi
Così come sono dietro la porta anche i dissidi tra Roma e Crocetta. Tra uno stato centrale che – stando a passate ricostruzioni del governatore – non sempre è stato benevolo con l’Isola. E che, anzi, al di là delle valutazioni di Crocetta, è pesantemente intervenuto, a suon di impugnative, sull’attività stessa del governo regionale. Anche Crocetta, adesso, è per il Sì. Un fatto comunque dalla portata discutibile, almeno stando alle parole del ministro Graziano Delrio: “Non sposta nemmeno i suoi voti”, si lasciò scappare a margine di un convegno. Per il sì, poi, è anche un ex “bersaniano” come Antonello Cracolici. L’assessore all’Agricoltura, anzi, mercoledì al Teatro Politema “incontrerà il mondo agricolo e della pesca” proprio insieme a Renzi. Anche Cracolici, che fa parte della “Sinistra per il Sì”, insomma, ha sposato la causa della riforma, così come il resto del Pd “istituzionale”.
Il Pd che dice no
Ma c’è un altro Pd. Il Pd di chi dice “no”. Un pezzo di partito fatto di militanti che accoglieranno Renzi nell’Isola intestandosi, seppur nella scomoda condizione di chi va “contromano”, la battaglia per la “difesa della Costituzione”. Una difesa alla quale si rifanno anche “ufficialmente” gli organizzatori di un convegno che si terrà proprio il giorno dopo il saluto di Renzi alla Sicilia. Il convegno s’intitola “La Sicilia e l’Italia che vogliamo, la salvaguardia della Costituzione”, è organizzato dalla Sinistra Riformista del Pd e si svolgerà a Palermo, venerdì 18 novembre. L’incontro sul referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, è stato promosso dai deputati regionali del Pd Mariella Maggio e Pino Apprendi. Pparteciperà il rappresentante della sinistra dem Roberto Speranza, il segretario regionale della Cgil Michele Pagliaro e il coordinatore regionale dell’Anpi, Ottavio Terranova. Anche il rappresentate provinciale ad Agrigento dell’Anpi, Angelo Lauricella, storico militante del Pd è per il No.
“Già otto mesi fa, – racconta Pino Apprendi – dichiarai a Speranza il mio no al referendum, convinto dal suo gesto, non comune, di dimettersi da capo gruppo dei deputati del Pd alla Camera, quando è stato votato l’Italicum. Sostenendo Renzi avevo creduto in un vero cambiamento. L’Italicum e la riforma, consegneranno l’Italia ai prossimi avventurieri. Dopo il Porcellum – prosegue – ho sperato che gli italiani tornassero a scegliere i propri parlamentari. La Costituzione l’abbiamo ‘esibita’ tutte le volte che dovevamo mostrare i gioielli di famiglia, perché frutto del lavoro dei rappresentanti di un intero Paese; oggi si vuole cambiare non rispettando le varie rappresentanze. Non intendo – prosegue Apprendi – farmi condizionare dalle presenze scomode che votano No, mi pare che anche il Sì è in buona compagnia”. E insieme ai deputati Pd, come detto, la Cgil siciliana (nonostante, come nel resto d’Italia, alcune divisioni intene) e le associazioni dei partigiani, mondi che “storicamente” facevano parte del patrimonio dei partiti che hanno condotto al Pd.
“Il mio no? Io sono un bersaniano”
Intanto, però, ecco che mentre Crocetta si esprime per il “sì”, in giunta qualcuno la pensa in maniera diversa. È il caso dell’assessore alla Formazione Bruno Marziano: “Io voterò No – spiega – perché sono un ‘bersaniano’. Ho sperato di poter votare sì, ma ormai è tardi: qesta riforma, insieme alla legge elettorale, a fronte di un rafforzamento dell’esecutivo prevede un indebolimento del parlamento. Altri ‘bersaniani’ dalla parte del Sì? Io penso che per un esponente del Pd sia naturale votare a favore della riforma. Ma credo anche che il partito dovrebbe chiedersi perché quelli come noi votano No. Del resto, è stata la “militarizzazione” del voto a trasformare in tragedia il legittimo dissenso”.
“Il mio no? Molto prima di Bersani”
“Io non ho votato nemmeno a favore della riforma”, ricorda invece Angelo Capodicasa, ex presidente della Regione e oggi deputato nazionale del Partito democratico. Non solo. Capodicasa è stato tra i firmatari, insieme ad altri colleghi Dem, di una lettera in cui esprimeva le ragioni del No. A questi si è poi aggiunto un altro parlamentare siciliano, Pippo Zappulla
“Il mio no? Io – puntualizza Capodicasa – sono uscito allo scoperto molto prima dello stesso Bersani”. Le ragioni di quella posizione “eretica”, raccolte nella lettera, sono diverse. Per Capodicasa e gli altri deputati, infatti, la riforma costituzionale non è un priorità, toglierebbe autorevolezza al parlamento ed è stata portata avanti con un metodo sbagliato cioè con “un protagonismo esorbitante e improprio del governo, non privo di gravi conseguenze”. E poi, c’è il merito: secondo Capodicasa e gli altri firmatari, infatti, la riforma spingerebbe l’Italia da un bicameralismo perfetto a un “bicameralismo confuso”, senza contare i dubbi sulla non elettività dei senatori e l’idea che dal referendum possa uscire fuori un “partito unico” che snaturi l’essenza del Pd. Un Pd pronto ad accogliere il nuovo arrivo di Renzi nell’Isola. Anche per ricordare al premier: “Nel tuo partito c’è chi dice no”.