MESSINA – Non ci sono colpevoli. Il processo sui “veleni alla Procura della Repubblica di Siracusa” si conclude con quattro assoluzioni e due sentenze di non luogo a procedere. Una vicenda che fece saltare alcuni incarichi importanti. Con tre magistrati costretti a fare i bagagli.
Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Messina, Monica Marino, ha assolto Maurizio Musco, già pm a Siracusa e oggi trasferito a Palermo su decisione del Csm; Ugo Rossi, già procuratore capo aretuseo e oggi pm a Enna, anche lui trasferito proprio per il suo coinvolgimento nell’inchiesta; Roberto Campisi, ex procuratore a Siracusa e oggi aggiunto a Catania; l’ispettore di polizia, Giancarlo Chiara. Avevano tutti deciso di esse processati con il rito abbreviato. Contestualmente lo stesso Gup ha deciso il non luogo a procedere per l’avvocato Piero Amara e per l’imprenditore Alessandro Ferraro.
Gli imputati dovevano difendersi, a vario titolo, da una decina di presunte ipotesi di abuso di ufficio. Il pubblico ministero, al termine delle requisitoria, aveva chiesto le condanne a 1 anno e 2 mesi per Musco, 5 mesi per Rossi, 4 mesi Campisi, 1 anno per l’ispettore Chiara, in servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della Procura di Siracusa. Ed ancora, il rinvio a giudizio per Amara e Ferraro.
La richiesta di condanna riguardava quattro capi d’imputazione, mentre per altri sei era stata chiesta l’assoluzione. In particolare, tutti gli imputati sarebbero stati, a giudizio del pm, responsabili del reato di abuso d’ufficio nella famosa vicenda del Catania calcio risalente al 2007 con l’iscrizione al registro degli indagati dei calciatori Gianluca Falsini ed Armando Pantanelli per i quali era stato ipotizzato il reato di frode sportiva, svolgendo però le indagini in difetto di competenza e rifiutandosi in un primo momento di trasmettere gli atti alla Procura di Catania. Il secondo capo d’imputazione per il quale il pm aveva chiesto la condanna per Musco e Chiara ed il rinvio a giudizio per Amara riguardava l’inchiesta legata alla pratica edilizia della suocera dell’avvocato Amara. Il terzo capo di imputazione coinvolgeva il solo Rossi, relativamente alla vicenda Sai 8 per la quale ha disposto nel giugno 2012 la coassegnazione del procedimento penale al sostituto procuratore Giancarlo Longo. Un atto di sfiducia, secondo l’accusa, nei confronti del pm Marco Bisogni, titolare dell’inchiesta. L’ultimo capo d’imputazione stigmatizzava la coassegnazione di diversi fascicoli, i cui titolari erano Marco Bisogni e Delia Boschetto, al pm Giancarlo Longo. Secondo l’accusa, che non ha retto, dietro la scelta c’erano due esposti. Uno di Piero Amara e l’altro del presidente del Cda della Sai 8, che da Amara era assistito.
Accuse sempre respinte dai legali delle difese. Alla fine hanno avuto ragione gli avvocati Claudio Gallina Montana, Alberto Gulino, Silvio Pellicane, Carmelo Peluso, Luigi Latino. Ed è arrivata l’assoluzione perché il fatto non sussiste.