L’orco si svegliava nel suo inferno di lenzuola sfatte, sudore e muri incrostati. Quindi si vestiva, usciva da casa, indossava il suo sorriso, e andava a lavoro. I due mondi, quello “malato”, celato dalla porta di un’anonima palazzina bifamiliare; e quello “sano”, al di fuori di essa, erano vicini, secondo gli inquirenti. Troppo. In realtà non erano neanche tanto distinti, ma unici. Un unico, pietoso, universo distorto.
Il complesso lavoro d’indagine che ha portato alla cattura del professore presunto pedofilo, arrestato questa mattina a Porto Empedocle su ordine del gip del tribunale dei minorenni di Palermo Pierluigi Morosini, è iniziato un anno e mezzo fa; dopo la segnalazione di una signora che in passato aveva lavorato come colf presso la casa del professore. La donna aveva notato che il figlio non aveva più orari regolari. Spesso non tornava a casa dopo la scuola, o la sera rientrava più tardi rispetto quanto facesse prima. E’ stata proprio questa preoccupazione di mamma, dunque, a dar il via alle indagini.
Nel periodo in cui era stata in servizio a casa del professore, la donna aveva notato una particolare attenzione dell’uomo nei confronti del ragazzino, che qualche volta portava con sé a lavoro. Il lavoro degli investigatori è stato complesso e ha visto l’impiego di telecamere e microspie, installate davanti alla palazzina bifamiliare dove l’uomo abitava. Lo strano viavai di ragazzi, tra i quali anche il figlio della signora, non ha tardato ad insospettire i carabinieri. A quel punto le microspie sono state piazzate anche all’interno dell’abitazione. Qui venivano consumati i rapporti tra il professore e i ragazzini, secondo l’accusa. L’uomo pagava 20 o 30 euro per avere rapporti sessuali con ogni ragazzo. Ogni tanto gli regalava anche qualche capo d’abbigliamento.
Una storiaccia che ha un risvolto, se possibile, ancora più inquietante: l’ipotesi che il pedofilo potesse condividere con altri la sua peversione, diffondendo il materiale pornografico che andava via via raccogliendo. L’uomo infatti riprendeva i ragazzi con una videocamera e li fotografava. Questo materiale, migliaia di foto e video, raccolti in centinaia di dvd, probabilmente veniva inserito in un circuito nazionale ed europeo sul quale gli investigatori stanno cercando di far luce.