PALERMO – Non sono stati “salvati” dalla prescrizione. Semmai senza la prescrizione i poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei sarebbero stati assolti.
È una questione di prospettiva. Quella difensiva è rappresentata dagli avvocati Giuseppe Seminara, Giuseppe Panepinto e Riccardo Lo Bue al processo sul cosiddetto “depistaggio” di via D’Amelio.
I poliziotti imputati
I poliziotti erano imputati per calunnia nei confronti degli innocenti condannati ingiustamente all’ergastolo basandosi sulle bugie del collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. Nel caso di Bo e Mattei è caduta l’aggravante di avere favorito Cosa Nostra. Il terzo imputato, Michele Ribaudo, è stato assolto nel merito perché il fatto non costituisce reato.
Senza aggravante il tetto della prescrizione si è abbassato. C’è un orientamento giurisprudenziale in base al quale la prescrizione prevale sul proscioglimento nel caso di contraddittorietà o insufficienza
della prova.
L’indottrinamento
Le condotte contestate, e cioè l’indottrinamento del falso pentito Vincenzo Scarantino c’è stata. “E come si è avuto modo di evidenziare trattasi di un’attività talmente forte e caratterizzante – scrive in particolare il Tribunale di Caltanissetta nel caso di Bo – da ritenersi, in re ipsa, elemento probatorio gravissimo, preciso e concordante con la tesi accusatoria, in grado da solo di eliminare in radice qualsivoglia possibilità di ritenere prospettabile un proscioglimento nel merito dell’odierno imputato”.
Non basta, però, specie nella valutazione dell’elemento soggettivo per ritenerli colpevoli: “La natura della pronuncia adottata impedisce al Collegio qualsiasi attività di “apprezzamento” e di “pesatura” dei vari indici soggettivi – alcuni dei quali depongono per la colpevolezza e altri per la non colpevolezza – che sono emersi nel corso dell’istruttoria”.
La prescrizione
Solo quando c’è la prova dell’evidenza dell’innocenza, l’assoluzione nel merito prevale sulla prescrizione. Ma di fronte a prove ritenute contraddittorie si viene assolti. Ecco perché l’avvocato Seminara spiega che “il Tribunale ha sostanzialmente ritenuto che vi fossero i presupposti per emettere nei confronti degli imputati una sentenza di assoluzione nel merito. Nessuna responsabilità: per via del maturare della prescrizione, anzi. Mattei non ha potuto beneficiare di una sentenza favorevole che, in presenza di una prova contraddittoria, gli sarebbe spettata. Un’ingiustizia sostanziale, dunque, che non consente a Mattei (ma anche a Bo, ndr) di vedere riconosciuta a pieno la propria innocenza”.
L’aggravante di mafia
Per quanto riguarda l’aggravante di mafia “il Tribunale ha escluso radicalmente che gli imputati
avessero la finalità di agevolare Cosa Nostra: per di più non l’ha ritenuta applicabile nemmeno al loro presunto dante causa, cioè Arnaldo La Barbera”.
La Barbera, oggi deceduto, allora capo della squadra mobile di Palermo, guidava il gruppo di investigatori. Da sempre viene considerato l’anima nera. Secondo il Tribunale: “Non c’è prova che sia stato a disposizione dei Madonia (boss di Palermo)”.
Avrebbe usato le false dichiarazioni di Scarantino, indottrinandolo, “per potere mantenere e accrescere la propria posizione all’interno della polizia di stato e nell’establishment del tempo”. A proposito di Scarantino il collegio è durissimo e ha deciso di inviare gli atti alla Procura per calunnia e falsa testimonianza.
Per Scarantino occasione persa
Ha perso l’occasione per dire la verità: “Pur potendo riferire (finalmente) una versione definitiva sulla triste vicenda ha continuato a rappresentare un affresco assai poco chiaro nel quale la corresponsabilità della sua falsa collaborazione oscilla, come in un pendolo, tra escussioni di Scarantino nelle quali essa viene addossata ai magistrati inquirenti dell’epoca ed escussioni – come quella svoltasi nell’odierno dibattimento – nelle quali l’ex falso collaboratore della Guadagna ha posto l’accento esclusivamente sui comportamenti dei funzionari della Polizia di Stato, appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino”.