PALERMO – “In una notte furono riaperti le carceri di Asinara e Pianosa e su disposizione dell’allora ministro Martelli furono portati i boss di Cosa Nostra. Il contraccolpo della morte di Paolo Borsellino per Cosa Nostra fu devastante”. Lo ha detto il magistrato Ilda Boccassini, ex procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Milano, chiamata a deporre questa mattina a Caltanissetta nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
“Nel ’92 – ha raccontato rispondendo in videoconferenza alle domande del pm Gabriele Paci – quando arrivai Vincenzo Scarantino era già detenuto. Quando ho saputo della pista della 126 anche parlando con i colleghi che c’erano e con lo stesso dottore La Barbera c’erano i dubbi su una persona che non era per nulla di spessore, se non per una parantela importante nell’ambito di Cosa Nostra. Però si era all’inizio, non ero entrata nella mentalità, nella carte. Io un’opinione potevo farmela conoscendo le persone. Ero lì in attesa ma gli altri andavano tutti con i piedi di piombo su questa cosa. Il referente principale era il dottore La Barbera che non si risparmiava, da Palermo veniva a Caltanissetta, le riunioni duravano moltissime ore”.
“Una delle ipotesi che facevano i colleghi – ha continuato – era quella che il telecomando potesse essere partito dal Castello Utveggio. Rispetto a questa pista partirono quasi immediatamente delle indagini”. “Nel dicembre (’92, ndr) esaminai una massa di carte informi, senza nessun ordine. La prima difficoltà fu quella di metterle in ordine e capire quale potesse essere la prospettiva investigativa. L’incartamento informe della strage di Capaci era nella mia disponibilità materiale. Ricordo con affetto una frase di Tinebra, che per altro non conoscevo, che mi disse ‘cocca mia, qua sono queste carte arrangiati fai quello che devi fare’. La prima cosa concreta che decisi di fare era quella di rifare un sopralluogo a Capaci. Ci siamo resi conto che il primo era stato fatto male. Facemmo quindi di nuovo il sopralluogo con carabinieri, polizia, finanza e Fbi sotto la direzione della procura di Caltanissetta. Questo avvenne a dicembre. Avevo constatato una mancanza di regia sia nelle indagini di Capaci che in quella sulla strage di via D’Amelio”, ha concluso Boccassini.
“Io e il collega Saieva facemmo una relazione in cui scrivevamo che man mano che si facevano gli interrogatori c’era la prova regina, inconfutabile, che Scarantino stava dicendo sciocchezze e quindi si doveva correre subito ai ripari per evitare cose che nel tempo avrebbero pregiudicato le indagini”.
“Su Vincenzo Scarantino vi erano visioni completamente diverse. Pur convinta della non credibilità del soggetto, dissi a Tinebra: ‘se vuoi rinuncio alle ferie perché avevo capito che c’era necessità di un ago della bilancia. Gli altri colleghi erano propensi a dire da subito ‘bene, Scarantino sta collaborando’. Per me c’erano delle perplessità. Tant’è che dissi di concentrare gli interrogatori ad agosto e che non sarei andata in ferie. La risposta di Tinebra fu: ‘ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie’, tant’è che tornai a settembre. Il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi”.
“Fino alla fine – ha aggiunto Boccassini, rispondendo al pm Gabriele Paci – dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle, e vedendo anche che c’era voglia che io andassi via quanto prima di Caltanissetta, scrissi la seconda relazione. Che poi altri colleghi si siano lamentati e abbiano messo per iscritto quello che accadeva a Caltanissetta nell’ultimo periodo, io non lo so, non credo”. “Soltanto con il pentimento di Spatuzza, nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora procuratore di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Sajeva: erano sparite. Io e Sajeva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo. Sono qui per la quarta volta a ripetere sempre le stesse cose – ha concluso – sentendomi quasi in colpa per aver scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa a quei processi”.
“La relazione che io e il collega Roberto Saieva facemmo sulla non credibilità di Vincenzo Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie”. Lo ha detto l’ex Procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini sentita in videoconferenza al processo sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio, in corso a Caltanissetta. “Fino alla fine – ha aggiunto l’ex Pm – dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo che Scarantino andava preso con le molle”
“Decidemmo di rinnovare il sopralluogo sul tratto di strada della strage di Capaci perché era stato fatto male. Quello che fu raccolto in precedenza – ha detto la Boccassini rispondendo all’avvocato di parte civile, Fabio Trizzino – non fu fatto in maniera capillare. Ci fu anche l’esigenza di ripristinare la strada che portava all’aeroporto, quindi mi resi conto che era necessario ripercorrere tutta la zona, esaminando zolla per zolla il terreno”. “Furono trovati mozziconi di sigaretta e rami recisi a Monte Pellegrino, furono poste sotto controllo utenze di persone che in un modo o nell’altro avrebbero potuto essere corresponsabili o semplici testimoni che, per paura o omertà, non avevano riferito alla magistratura ciò che avevano visto. Fu aperto un fascicolo in America, essendo Giovanni Falcone una persona importantissima. Furono mandati anche agenti della Fbi”.
“Ero disponibile persino a un trasferimento d’ufficio da Milano alla Procura di Caltanissetta, ma l’allora procuratore Tinebra disse ‘assolutamente no’. Non mi volevano. E io sono stata così imbecille da essere disposta a trasferirmi a Caltanissetta”. L’ha detto il magistrato Ilda Boccassini, sentita come teste al processo sul depistaggio nella strage di via D’Amelio. “Se i colloqui investigativi con Vincenzo Scarantino servivano per addestrarlo – ha detto in merito al falso pentito – chi li ha fatti meriterebbe di essere cacciato da ogni funzione pubblica. Prima degli interrogatori, Tinebra si chiudeva in una stanza, solo, con Scarantino. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio”. Boccassini, applicata a Caltanissetta dal ’92 al ’94, ha aggiunto che gli unici a dare credito al falso pentito erano i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, oggi indagati a Messina per calunnia aggravata in concorso, con l’accusa di avere indotto Scarantino a fare delle dichiarazioni.
In questi anni mi sono chiesta tante volte perché la procura nissena non interrogò mai Tinebra mentre era in vita”. L’ha detto l’ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini nel corso della sua deposizione come teste al processo sul depistaggio delle strage di via D’Amelio, provocando subito la risposta del pm Gabriele Paci: “Evitiamo di trasformare questo processo in una sorta di mercato. Tinebra fu sentito nel Borsellino quater e quindi evitiamo di fare commenti”. Più volte è intervenuto il presidente Francesco D’Arrigo nel botta e risposta tra Boccassini e l’avvocato Fabio Repici, invitando entrambi a evitare di commentare. Boccassini, sempre rispondendo a Repici, si è soffermata sul gruppo Falcone-Borsellino e sulla figura del maresciallo Carmelo Canale. “La mia stima sul gruppo c’era. Lavoravano molto e non si sono mai sottratti, quindi il mio giudizio non può che essere positivo. Per ciò che concerne l’agenda rossa – ha aggiunto – noi ci siamo occupati nel primo periodo delle indicazioni che ci venivano fornite dal maresciallo Canale, che ho conosciuto in quel frangente. Mi sembrava una persona che sparava palle”. (ANSA).