La disfida della declinazione è fatalmente sbarcata anche a Palermo. Tutto nasce dalla presa di posizione della vicesindac…, del vicesindac… Cioè dell’onorevole Carolina Varchi. Che, agli uffici comunali, ha illustrato le sue idee in una lunga missiva, di cui citiamo un passaggio: “Chiedo, pertanto, con riferimento alle funzioni ricoperte pro tempore dalla scrivente, che si continui ad utilizzare la locuzione ‘il Vicesindaco’ e ‘l’Assessore’, diversamente non sarà sottoscritto alcun atto”.
Ed è naturale che un avvenimento, in fondo, marginale si innesti nel grande mare delle polemiche. Fausto Melluso, ex consigliere comunale e figura di sinistra, risponde con un lungo post su Facebook: “Vorrei dire a Carolina Varchi che credo fermamente che lei sia libera di farsi declinare come vuole: al maschile, al femminile, al neutro. Pensare di imporre ad una persona come farsi chiamare è da stato etico e, sinceramente, come ha detto una volta l’ironica Meloni alla Camera, rivolgendosi alla sinistra in Parlamento, non mi sembrerebbe il caso di prendere lezioni di cultura democratica da Fratelli d’Italia. Non è la vicesindaca Varchi però che decide come deve comportarsi il segretario – che non è un suo dipendente – rispetto all’esercizio del suo mandato, almeno come regola generale da applicare al netto di legittime diverse indicazioni”.
Carolina Varchi, dal canto suo, aveva insistito: “Soltanto se e quando ogni battaglia per l’affermazione completa e compiuta delle pari opportunità sarà vinta, si potrà tornare a dibattere su questioni squisitamente lessicali che nulla tolgono e nulla aggiungono all’affermazione dei diritti delle donne”.
La già citata Giorgia Meloni, sul punto, è stata netta: “Io credo che le donne si debbano giudicare per il merito. In questi giorni si è fatto un gran parlare, grandi polemiche sull’uso de ‘il presidente’ o ‘la presidente‘, ma io non ho mai pensato che la grandezza delle nostre battaglie si misuri nel farsi chiamare ‘capotrena’, ho pensato che fossero ben altri i temi su cui occorreva battersi”.
Un botta e risposta, questo di Palermo, da consegnare alla posterità per le opportune valutazioni. Magari è vero che è tutta una questione di linguaggio e che, sulle sfumature, il mondo può cambiare. E se l’avessimo chiamato Ponto Corleono? (Roberto Puglisi)