CATANIA – Superare il renzismo, rivelatosi “evidentemente fallimentare”, e recuperare idee e parole chiave della sinistra. Cercando di riprendere chi, deluso, ha scelto di approdare in altri porti, Movimento 5 stelle in testa. Questa la ricetta di Angelo Villari e Concetta Raia, tra i primi dissidenti del partito democratico siciliano, per rilanciare l’esperienza democratica nata dieci anni fa e oggi quasi al crepuscolo. Quel 19 per cento alle ultime politiche, la scomparsa del simbolo quasi ovunque in questa tornata amministrativa, la nuova prospettiva politica di un Paese che sembra sempre più orientato verso il populismo e la xenofobia, impongono una riflessione. Definitiva.
Il rischio è disperdere il patrimonio della sinistra. “Noi siamo sempre stati per il dialogo – afferma l’ex assessore del Comune di Catania ed ex segretario della Cgil cittadina – e oggi più che mai crediamo, come sinistra del partito democratico, che sia inopportuno rifiutare il dialogo con il Movimento 5 stelle. Nel momento in cui questo viene richiesto non si può rifiutare il confronto, non ci si può essere chiusura o azione di ripicca. La politica non si fa con i risentimenti ma discutendo delle necessità del Paese, su come affrontarle, decidendo poi se ci sono o meno le condizioni per una collaborazione”.
La riflessione interna ai democratici, avviata ormai da anni, continua tentando di precedere la possibile “scomparsa” di quello che, tutt’altro che partito della nazione, per Angelo Villarie parte dei democratici “dissidenti”, è ormai il partito di Renzi, la cui personalizzazione del Pd e le scelte starebbero penalizzando non solo la sinistra italiana ma tutto il Paese. “Renzi è stato un disastro – tuona. Dopo una fase iniziale, ha portato questo partito al collasso, personalizzandolo e accentrando le scelte e rifiutando il confronto. È stato un errore rifiutare il confronto con i cinque stelle. Quando un partito arriva al 32 per cento dei voti non si può fare finta che un terzo degli elettori lo abbia votato. Quindi, in primo luogo, bisogna rispettare la scelta degli italiani – prosegue Villari. In secondo luogo – continua, e questa è la motivazione politica, è innegabile che all’interno del M5s siano confluiti i voti di tantissimi cittadini che, prima, votavano Pd e che oggi sono delusi”.
Un voto nato e dettato dall’amarezza, quindi, dal rifiuto di molti, a sinistra, di turarsi il naso e votare lo stesso per un partito democratico che sembra sempre più distante dalla sua stessa definizione. “Pare che sia quasi il 50% degli elettori del Pd – continua l’ex cgiellino che si chiede come si possa rifiutare il dialogo con parte della propria gente, della propria base. “Questo è il punto – prosegue Villari. Il che non significa accordarsi, quello di verifica successivamente. Ma occorre confrontarsi sui valori e su quello che pensiamo debba essere alla base della crescita del Paese. Anche per evitare di consegnare l’Italia alle destre”.
Rifiutare il confronto darebbe l’alibi all’alleanza con la Lega di Salvini. “Mortificando i valori della solidarietà e dell’accoglienza – tuona Villari – del lavoro, e che strumentalizza i bisogni dei cittadini. Il populismo – sottolinea – è rischioso. Noi invece basiamo la nostra politica sul confronto e stiamo tentando di dare vita, all’interno del Pd e nella società, a un’area che si rifà al laburismo, al mondo del lavoro, e non solo quello dipendente, alla piccola e media impresa, ai precari”.
Una prosecuzione del progetto Demosì, la costola del Pd animata proprio da Villari, da Concetta Raia e da chi, all’interno del Partito democratico da tempo ha suonato campanelli d’allarme verso l’accentramento renziano. Ma con attenzione alla contingenza e alla necessità di affrontare la questione 5 Stelle. “I cinque stelle hanno dimostrato di avere numeri, ma hanno un grande problema all’interno – prosegue Villari: non sono democratici al proprio interno, decide solo il capo e, poi, oggettivamente, rappresentano lobbies importanti. Noi dobbiamo confrontarci e aiutare questo movimento a diventare democratico, senza pregiudizi. L’accordo non è scontato – evidenzia – ma occorre il dialogo”.
Non buttare a mare dieci anni di Pd, l’obiettivo principale. “Dobbiamo vedere come riuscire a recuperare i valori sui quali è stato fondato il Partito democratico, a rivitalizzare la democrazia nei territori e fare in modo che all’interno della formazione politica ci siano persone in grado di portare avanti le istanze della cittadinanza, avendo alla base la questione morale e la questione sociale”.
Intanto lunedì, l’ex ministro Martina – reggente del Pd – sarà a Catania non solo in sostegno alla candidatura di Enzo Bianco, ma anche per ribadire la necessità che i democratici ripartano dai propri errori. certamente ammettendo prima di averli fatti. “Stiamo sostenendo la linea di Martina – continua Villari – che sta cercando di dare una sterzata al partito. Tanto è vero che i renziani cercano di tenerlo in ostaggio. Noi gli chiediamo di essere coraggioso, uscire da questa morsa renziana e fare in modo che il partito si derenzizzi, Il Pd deve tornare ad avere un profilo di partito, con una base e dei valori riconoscibili”.
Per Catania. “Ci stiamo battendo affinché l’attuale sindaco vinca le elezioni – evidenzia l’ex assessore. In caso di ballottaggio, noi lo sosterremo e chiediamo a tutte le forze, proprio alla luce di quanto affermato fino a ora, di permettere a Bianco di portare avanti le iniziative e quanto avviato in questi anni.
Da Roma a Catania a Palermo. “Il Pd dovrebbe essere un po’ più presente a livello regionale – aggiunge l’ex deputata Concetta Raia – nell’ultima campagna elettorale non c’è stata. E farlo con una forza più incisiva in Parlamento, anche se un partito che alle ultime elezioni ha registrato queste percentuali diventa marginale persino la sua azione di contrasto. Ma si può e si deve attivare un dialogo su alcune posizioni e iniziative parlamentari. Del resto i 5 stelle sono una presenza consolidata in Sicilia e il Pd è stato punito, e alla grande. Mi auguro che la fase nuova si apra anche in Sicilia – conclude la Raia – anche perché è tutto fermo e la Regione sembra ancora un carrozzone che non riesce a partire, impantanato”.