Dalla scarcerazione al 41 bis | La parabola del boss Graziano - Live Sicilia

Dalla scarcerazione al 41 bis | La parabola del boss Graziano

Vincenzo Graziano

Vincenzo Graziano è l'uomo dei misteri di Cosa nostra, uno dei boss che avrebbero voluto ammazzare il magistrato Antonino Di Matteo, il capomafia del rione Acquasanta di Palermo specializzato negli investimenti. Da oggi è detenuto al carcere duro.

PALERMO – Arrestato, scarcerato, di nuovo in cella e ora al 41 bis. Tutto in otto mesi. Otto mesi che segnano la vita di Vincenzo Graziano. Per sei mesi il sessantaquattrenne boss aveva pure assaporato il gusto della libertà. Il ministro della giustizia ora ha firmato il decreto che lo spedisce al regime del carcere duro. È la prima volta, nonostante Graziano abbia già trascorso in carcere una fetta della sua esistenza.

È lui l’uomo dei misteri di Cosa nostra, uno dei boss che avrebbero voluto ammazzare il magistrato Antonino Di Matteo, il capomafia specializzato negli investimenti. Vincenzo Graziano è soprattutto, dicono gli investigatori del Nucleo speciale della Polizia valutaria della Guardia di finanza, il nuovo capo mandamento di Resuttana.

Graziano fu arrestato l’ultima volta a metà dicembre. Pochi mesi prima, in giugno, era finito in cella nel maxi blitz “Apocalisse”, ma era stato rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. Allora veniva indicato come un affiliato del clan e il grande regista dell’affare delle macchinette video poker piazzate nei locali di mezza città. Una volta finita di scontare la pena, nel 2012, era tornato nel giro con l’obiettivo di fare soldi. Lui che, appartenente ad una famiglia di costruttori, di soldi se ne intende.

Il Riesame, però, valutò diversamente il quadro indiziario. Non c’era prova che gli incontri con Vito Galatolo fossero finalizzati ad affari illeciti. Le frequentazioni con un indiziato mafioso, anche se non sporadiche, come ha stabilito la Cassazione, non hanno valore di indizio di colpevolezza.

Le nuove indagini, quelle sfociate nel fermo di dicembre, lo piazzavano al vertice del mandamento. Su di lui convergevano le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Sergio Flamia di Bagheria e Galatolo dell’Acquasanta. Il primo di lui ha detto che è stato il grande investitore dei soldi dei Madonia, il secondo ne ha ricostruito la scalata al potere nei minimi dettagli. E lo ha tirato in ballo nella vicenda del progetto di morte contro il pubblico ministero Di Matteo. Galatolo ha riferito che in un incontro del 2012 furono lui, Graziano, Alessandro D’Ambrogio (capomafia di Porta Nuova) e Girolamo Biondino (capo a San Lorenzo) a leggere la lettera di Matteo Messina Denaro. Da Castelvetrano arrivò l’ordine di organizzare l’attentato.

Ora per Galatolo il carcere diventa duro con tutte le limitazioni previste. Gli è stato applicato il 41 bis, il regime riservato ai capi di Cosa nostra.

 

 


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