“E’ venuto il momento di sapere chi e perché ha organizzato il depistaggio”. Manfredi Borsellino chiede che “si vada fino in fondo” nello svelamento della trama che ha costruito una falsa verità sulla strage di via D’Amelio. Il figlio del magistrato ucciso con gli uomini della scorta il 19 luglio 1992 rompe il silenzio per chiedere chiarezza su una delle pagine oscure del processo: le false accuse di Vincenzo Scarantino in base alle quali sono stati condannati con sentenze definitive alcuni boss estranei all’attentato.
Sarebbe stato il pool di investigatori guidato da Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, a “pilotare” le rivelazioni dell’ex picciotto della Guadagna che si autoaccusò di avere procurato la 126 usata per l’attentato. La sua ricostruzione è stata smentita da altri due collaboratori ritenuti attendibili, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, che hanno accusato il boss Giuseppe Graviano di essere stato l’organizzatore della strage.
“Vorremmo capire per quale ragione – dice Manfredi Borsellino – sarebbe stata costruita una falsa verità”. Secondo il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, che si appresta a chiedere l’apertura del processo, Cosa nostra avrebbe accelerato i tempi della strage perché Borsellino sarebbe venuto a conoscenza della “trattativa” tra mafia e Stato.