Zen, il preside in trincea: | "Stavolta chiudo la scuola" - Live Sicilia

Zen, il preside in trincea: | “Stavolta chiudo la scuola”

Una scuola alla deriva, l'istituto "Falcone" dello Zen, "presidio di legalità". La denuncia del preside Domenico Di Fatta (nella foto tratta da Facebook con alcuni alunni, mentre riceve un premio dal presidente Napolitano). "Non ce la facciamo più. Sono pronto a chiudere la scuola".

Il degrado della "Falcone"
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“Sì, sono pronto a chiudere la scuola. L’anno scorso ho lanciato la provocazione. Ora faccio sul serio. Non ci sono le condizioni minime. Non ne posso più. Se continua così, andrò via”.

Domenico Di Fatta, dirigente della “Falcone” allo Zen, davvero, non ne può più. Le cronache hanno già riportato immagini e testimonianze del suo impegno e dei gravi ostacoli che ne hanno incrociato il cammino. Vandali a più riprese, arredi sconciati dai raid, articoli di giornale, indignazioni a comando, interventi labili. Non è cambiato niente. E i distruttori imperversano, sfaldano lo sfaldabile, goccia a goccia. La “Falcone” è un corpo diroccato, polveroso di macerie. Un’agonia. La palestra che potrebbe essere un gioellino è un monumento allo sfascio. Nel cortile e nelle aule, un paesaggio siriano di pezzi di muro, intonaco e segmenti di una speranza che fu. Il preside Di Fatta, ogni mattina, compie il suo giro e annota una scrupolosa memoria del disastro. La sua stanza somiglia alla ridotta di un fortino in territorio nemico. C’è pure un fucile giocattolo dietro una vetrina. “Non lo uso come deterrente – sorride il professor Domenico – l’ho sequestrato a un alunno”. Chi conosce questo valoroso insegnante, catapultato in una comunità ostile da sei anni, coglie i lineamenti di un dolore autentico. Qualcosa si è spezzato nel sogno di un quartiere normale, dentro una città civile.  Nella descrizione di uno sfacelo che fa male agli occhi. E al cuore.

“Guardi il nostro sistema di telecamere di sorveglianza – il preside si avvicina a un pannello dispettoso che pretende l’apriti sesamo d’ordine ogni tot secondi, altrimenti si stacca e bisogna ricominciare -. Così è praticamente inutile. Due non funzionano. Nelle altre la visione è scarsa. Non abbiamo un contratto di manutenzione per ripararle, o per registrare. Andiamo avanti col volontariato. Ci ha aiutato molto un docente precario che ora non è più con noi. L’assessore Evola ha mostrato concreta solidarietà. Ha permesso la riparazione di alcuni vetri. La ringrazio, purtroppo i fondi sono quelli che sono. I problemi rimangono innumerevoli”. Il “presidio della legalità” – termine vacuo e pomposo, da retorica ministeriale – è in una zona infelice. A due passi, c’è la celebre via Girardengo, la capitale dello spaccio nello Zen 2, un sobborgo peggiorato del peggio.

Domenico Di Fatta, accompagnato dal cronista, rivela le sue pene: “Non so se dietro gli assalti continui ci sia una regia, è possibile. So che nessuno riesce a frenarli. Periodicamente facciamo la conta dei danni. Sì, lo ripeto, questa non è una scuola in condizioni minime di sicurezza. Se sarà necessario, chiuderò il portone. Finalmente qualcuno ragionerà sull’emergenza. Un preside che agisce da custode, da sorvegliante, da sceriffo, alla fine non ha tempo per esercitare il suo ruolo. Sa come mi chiamano? Lo sbirro”. Il giro procede, attraverso i segni di nuove e antiche distruzioni. Il campetto di pallavolo è divelto e inagibile. Nella palestra, briciole di sanitari schiacciati e dissolti. Canestri strappati. Una mano pietosa ha disegnato l’incerto profilo di due porte sul muro giallo. Le vere porte di calcetto, più in là all’aperto, sono state scompaginate, private della rete. Sul tetto, un ignoto Attila si è accanito con un martello. Hanno tagliato il ramo di un albero. Hanno rotto altri vetri a sassate.

Domenico Di Fatta sorride ancora, con mestizia: “Se il lancio contro le vetrate fosse una specialità olimpica, vinceremmo la medaglia d’oro. Ho chiesto alle forze dell’ordine una mano. Svolgono tutti un lavoro egregio, si dividono in quattro. Il maresciallo dei carabinieri è un grande professionista. I mezzi sono insufficienti. Lo Zen è un quartiere complicato, se vogliamo metterla così. In questi anni, si è coagulato un gruppo di docenti spinto da una grande passione civile. Anche il personale non docente lavora bene. Però siamo soli. Soli contri tutti. E io sono stanco”.

E’ stanco il preside. Ha gli occhiali appannati di fatica e sudore. Ha il volto scavato di un Sisifo costretto a riportare il suo masso in cima, sapendo che un attimo dopo precipiterà. Intorno all’esile recinto della “Falcone”, c’è lo Zen in assedio perpetuo. Dall’avvilimento sbuca fuori una domanda tra i libri e le macerie, una voce scomoda nel deserto: ma ne vale la pena?


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