Palermo ricorda Dalla Chiesa| "Non fu solo la mafia a ucciderlo" - Live Sicilia

Palermo ricorda Dalla Chiesa| “Non fu solo la mafia a ucciderlo”

Commemorati, a trent'anni dall'eccidio di via Carini, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo, alla presenza del ministro Cancellieri. La figlia Rita: "Tornerò a vivere a Palermo".

IN SICILIA IL MINISTRO CANCELLIERI
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“Fu solo la mafia a uccidere Carlo Alberto Dalla Chiesa?”.Trent’anni dopo la domanda è ancora senza risposta. Stavolta tocca al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ricordare che all’origine del delitto ci sono “casuali connesse e sconosciute agli stessi esecutori materiali”.

Il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini, a Palermo, i colpi di Kalashnikov massacrarono il generale, la moglie Emmanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Cento giorni dopo essere arrivato a Palermo la missione del prefetto si interrompeva nel più violento dei modi. Per la strage sono stati condannati Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia, e i pentiti Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. “Si può, senz’altro, convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra – scrivevano i giudici nella sentenza – concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”. Siamo di fronte al movente complesso di cui ha parlato oggi il procuratore nazionale antimafia, al termine della messa celebrata nella chiesa di San Giacomo dei militari all’interno della caserma intestata allo stesso Dalla Chiesa.

Un movente complesso che si era già manifestato in alcuni episodi che precedettero il delitto. Nel 1979 Tommaso Buscetta, detenuto nel carcere di Cuneo, contattò un brigatista per sapere se le Br fossero disposte a rivendicare l’uccisione del generale. Uscito dal carcere, Buscetta apprese dal boss Stefano Bontate che quel progetto nasceva dalla preoccupazione di “ambienti politici” che Dalla Chiesa, forte del successo contro il terrorismo, volesse “porsi a capo dello Stato con un’azione di forza”. Il capomafia di Cinisi Gaetano Badalamenti fece pure cenno a un collegamento con il caso Moro. Le indagini hanno poi fatto emergere quelle che Grasso ha chiamato “stranezze rimaste inspiegabili”. Ha citato due casi: la scomparsa di documenti custoditi nella residenza di Dalla Chiesa, dove funzionari della Prefettura andarono con il pretesto di recuperare lenzuoli per coprire i cadaveri, e l’irruzione sullo scenario dell’inchiesta di un falso supertestimone, Giuseppe Spinoni, che tentò un’opera di depistaggio. “E allora – si è chiesto il procuratore – fu solo mafia? O come per gli altri omicidi eccellenti come quello di Mattarella e di La Torre la mafia ha agito come braccio armato di altri poteri?”.

Nel suo intervento Grasso ha ricostruito i cento giorni di Dalla Chiesa a Palermo, la sua inascoltata richiesta di poteri di coordinamento investigativo, le ostilità dell’ambiente politico locale e perfino le maldicenze sulla differenza di età con la giovane moglie. Per questo, ha aggiunto il procuratore, “accanto alla responsabilità penale di autori e mandanti vi è anche la responsabilità morale di chi non l’ha ascoltato o l’ha privato dei mezzi per garantire libertà e democrazia, legalità e giustizia”. Dalla Chiesa tenne in ogni caso fede ai suoi forti principi etici. Pochi giorni prima di morire, ha ricordato Grasso, disse che “certe cose si fanno per poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa”.

Ciascuno deve fare la propria parte. Il prefetto assassinato dalla mafia ha lasciato in eredità un messaggio di compattezza che il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha voluto rilanciare da Palermo: “Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo. La battaglia contro Cosa nostra è complessa, ma siamo uniti possiamo vincerla”. Da qui la necessità di commemorare un uomo che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito, in un messaggio inviato al prefetto Umberto Postiglione, “un servitore eccezionale dello Stato, di comprovata esperienza operativa e investigativa”. Ricordarne il sacrificio, ha aggiunto il capo dello Stato, “contribuisce a consolidare quella mobilitazione di coscienze e di energie e quell’unione d’intenti fra Istituzioni, comunità locali e categorie economiche e sociali, attraverso cui recidere la capacità pervasiva di un fenomeno criminale insidioso e complesso”.

In prima fila nella chiesa di San Giacomo dei militari ci sono i parenti delle vittime. C’è anche Rita Dalla Chiesa, la figlia del generale, che dopo trent’anni ha deciso di partecipare alle commemorazioni: “Quello di mio padre è stato un omicidio politico”, ha detto, aggiungendo: “Vengo a Palermo ogni anno, durante la festa di Santa Rosalia, e a poco a poco sono riuscita a riprendere di nuovo fiducia in questa città. Voglio venire a vivere a Palermo per continuare a stare nel luogo in cui trovo papà. Palermo è una città che amo molto. Credo ci sia un voglia reale di cambiamento”.

LE PAROLE DI NANDO DALLA CHIESA

Posso approfittare della attenzione che si risveglia in queste occasioni per chiedere che la memoria non venga più umiliata?”. Lo afferma Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto ricordando così, in un articolo pubblicato su Libera Informazione, il padre, ucciso trent’anni fa dalla mafia “Chiedo due cose – spiega – assicuriamo ai cittadini i loro elementari diritti, impediamo che vengano elargiti loro sotto forma di favori dalla mafia. E facciamo sì che le istituzioni siano sempre più importanti di una tessera di partito. Sembra poco ma è una rivoluzione” “Dopo trent’anni mi capita spesso di trovare in un ventenne di Libera – dice – più rispetto e memoria di mio padre di quanti ne trovi in chi ebbe modo di vivere l’incubo sanguinoso degli anni di piombo, in chi poté assistere in diretta all’annuncio pubblico del suo assassinio durato quattro mesi in una Palermo infuocata.” “Parlo di quei giornalisti o intellettuali (o politici) – prosegue Nando Dalla Chiesa – che, anziché restare sgomenti davanti alla terribile grandezza di quanto successe in quei mesi palermitani, e usare la propria intelligenza per trarne insegnamenti radicali sulla politica, sulle burocrazie, sui valori del Palazzo, sulla storia di una grande città mediterranea e dell’Italia tutta, hanno pensato di dimostrare meglio il loro valore professionale rifiutando il teatro della tragedia, per cercare in carte segrete da nessuno mai trovate in trent’anni il senso degli avvenimenti”.

LE REAZIONI DEL MONDO POLITICO
“30 anni fa a Palermo venivano uccisi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Si trattò di un durissimo attacco al cuore della nostra Repubblica”. E’ quanto afferma il vice presidente del Senato Vannino Chiti. “Dalla Chiesa – aggiunge l’esponente del Pd – cadde vittima della barbarie, privo di un sostegno adeguato da parte delle istituzioni, dopo aver trascorso la sua vita al servizio dello Stato e della legalità, con grande rigore, prima contro il terrorismo e poi nella lotta alla mafia. A noi spetta il compito di non dimenticare e portare avanti con determinazione e coerenza la lotta contro ogni tipo di criminalità organizzata, unendo all’azione della magistratura e delle forze di polizia, la formazione civile e uno sviluppo sostenibile che assicuri opportunità alle giovani generazioni”.

“Sono trascorsi trent’anni dal giorno in cui perse la vita a causa di un vile attentato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della scorta Domenico Russo, ma il suo sacrificio resta un momento indelebile nella storia della lotta contro il terrorismo e la mafia. E’ doveroso ricordare e tramandare l’eroico esempio di un grande servitore dello Stato che con il suo coraggio, la sua dedizione e il suo impegno quotidiano rimane un esempio di senso dello Stato, per tutti”. Così il vice Presidente del Senato, Domenico Nania, ricorda il generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della scorta, Domenico Russo, uccisi dalla mafia il 3 settembre del 1982.

“Nell’anniversario della strage di Via Carini, ricordo con commozione Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, assassinati il 3 settembre di trent’anni fa. Cadde in servizio, in quella tragica occasione, un uomo che aveva segnato in maniera emblematica l’impegno contro l’illegalità e la criminalità organizzata: dalla militanza nella guerra di liberazione al contrasto all’azione delle Brigate Rosse in Piemonte, fino alla lotta a Cosa Nostra, come Prefetto in Sicilia”. Così il Presidente del Senato, Renato Schifani, in un messaggio inviato al Prefetto di Palermo, Umberto Postiglione. “Quell’assassinio, come tutti gli omicidi di mafia – aggiunge il Presidente del Senato -, rappresentò un attacco diretto al cuore del nostro Paese, poiché quando una nazione perde i suoi uomini migliori, è come se avesse perso parte delle sue energie vitali, quelle che consentono ad uno Stato di crescere e prosperare. Ma la memoria di coloro che hanno sacrificato la propria vita al servizio dello Stato ci accompagna e ci guida, nella consapevolezza che la determinazione nel contrastare ogni forma di criminalità organizzata costituisce la base indispensabile per la costruzione di un Paese migliore”.

“L’Udc ricorda con profonda gratitudine e ammirazione il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, eroico ed integerrimo servitore dello Stato che ha dedicato la sua vita a fronteggiare senza sosta il terrorismo e la criminalità organizzata. A trent’anni da quel vigliacco assassinio, il modo migliore per onorare la sua memoria, quella della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo è rafforzare l’impegno a tutti i livelli per estirpare i fenomeni mafiosi ed eversivi dal tessuto sociale del nostro Paese”. Lo afferma il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa.

“Carlo Alberto Dalla Chiesa ha dato un contributo lungimirante alla lotta alla mafia indagando con particolare attenzione sul versante dei rapporti tra Cosa nostra e politica e, nonostante abbia incontrato reticenze e difficoltà nella realtà palermitana dell’epoca e sia stato isolato anche da parte dello Stato, egli non ha mai tentennato nella battaglia per l’affermazione della legalità”. Lo dice il presidente dell’Ars, Francesco Cascio, nel 30esimo anniversario dell’eccidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta, Domenico Russo. “Rinnovando oggi un caloroso pensiero alla sua memoria – conclude Cascio – il suo operato e i suoi ideali devono essere un monito per andare avanti con tenacia fino a che il cancro mafioso non sarà definitivamente debellato”.

“Sono trascorsi trent’anni dall’efferato assassinio del Prefetto di Palermo, Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo. Resta immutato il profondo senso di amarezza per una così grave ferita inferta all’Italia da parte della criminalità organizzata”. E’ questo l’inizio del messaggio inviato dal Presidente della Camera,Gianfranco Fini al Prefetto di Palermo,Umberto Postiglione. “Il Generale Dalla Chiesa fu ucciso per mano della mafia che ne temeva il coraggio, l’esperienza investigativa, il rigore, l’efficacia di un impegno intenso ed incondizionato, proprio dei grandi servitori dello Stato, a difesa della legalità e della democrazia”. La sua “altissima testimonianza e la sua grandezza morale” devono continuare “a costituire un modello per tutti, operando in profondità sulla nostra identità e sensibilità civica. Una società autenticamente libera richiede infatti la condivisione di una sempre più diffusa e radicata cultura del rispetto della legge e della giustizia, unitamente ad un costante ed attivo impegno – di Istituzioni, magistrati, forze dell’ordine, associazioni e cittadini – in una profonda e decisiva sfida tesa a riscattare il Paese, liberandolo dal fenomeno della criminalità organizzata una volta per tutte”. Alle famiglie “Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo invio i sensi della più sentita solidarietà, mia e della Camera dei deputati”.

“A trent’anni dal suo brutale assassinio, è ancora vivo il ricordo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo di grande spessore e impavido servitore dello Stato”. Così Enrico La Loggia, presidente della Commissione Parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, ricorda la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa nel giorno del trentesimo anniversario della strage di Via Carini. “Nonostante fosse cosciente di essere un bersaglio facile per la mafia, continuò imperterrito il suo lavoro, risvegliando nei siciliani la voglia di lottare per un futuro fatto di legalità e giustizia. La sua determinazione e la sua voglia di riscatto per la Sicilia – conclude l’esponente del Pdl – restano, a tanti anni di distanza, un punto fermo per quei tanti giovani che sognano una Sicilia diversa, migliore e libera da quella metastasi chiamata mafia”.

“Ho abbracciato ed accolto oggi Rita Dalla Chiesa che con la sua famiglia ha partecipato alla cerimonia commemorativa dell’uccisione del padre il generale Carlo Alberto, della signora Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo”. Lo afferma il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. “Alla signora Rita ho anche espresso il mio apprezzamento per la sua annunciata volontà di tornare – aggiunge – a vivere a Palermo con la famiglia”.

Nel delitto Dalla Chiesa è possibile riconoscere una “causale non ascrivibile direttamente alla mafia”. Di un movente complesso e oscurato da tanti misteri ha parlato il procuratore nazionale antimafia nella commemorazione del generale a trent’anni dalla strage di via Carini. Grasso è intervenuto dopo la messa nella chiesa di San Giacomo dei militari all’interno della caserma intestata allo stesso Dalla Chiesa. Il procuratore ha ricordato che sono stati già condannati gli uomini della “cupola” e gli esecutori materiali. “Ma si può affermare – si è chiesto – che tutta la verità è stata accertata, che tutte le responsabilità sono state scoperte? Vi sono tante domande rimaste senza risposta giudiziaria per cui si deve sempre tendere a svelare, anche dopo trent’anni, le trame e i misteri nascosti”. Per Grasso il progetto di eliminare Dalla Chiesa sarebbe stato pensato addirittura tre anni prima del suo incarico di prefetto a Palermo. Nel 1979 Tommaso Buscetta, detenuto nel carcere di Cuneo, contattò un brigatista per sapere se le Br fossero disposte a rivendicare l’uccisione del generale. Uscito dal carcere, Buscetta apprese da Stefano Bontate che quel progetto nasceva dalla preoccupazione di “ambienti politici” che Dalla Chiesa, forte del successo contro il terrorismo, volesse “porsi a capo dello Stato con un’azione di forza”. Gaetano Badalamenti fece pure cenno a un collegamento con il caso Moro.Le indagini hanno poi fatto emergere quelle che Grasso ha chiamato “stranezze rimaste inspiegabili”. Ha citato due casi: la scomparsa di documenti custoditi nella residenza di Dalla Chiesa, dove funzionari della Prefettura andarono con il pretesto di recuperare lenzuoli per coprire i cadaveri, e l’irruzione sullo scenario dell’inchiesta di un falso supertestimone, Giuseppe Spinoni, che tentò un’opera di depistaggio. “E allora – si è chiesto il procuratore – fu solo mafia? O come per gli altri omicidi eccellenti come quello di Mattarella e di La Torre la mafia ha agito come braccio armato di altri poteri?”. Nel suo intervento Grasso ha ricostruito i cento giorni di dalla Chiesa a Palermo, la sua inascoltata richiesta di poteri di coordinamento investigativo, le ostilità dell’ambiente politico locale e perfino le maldicenze sulla differenza di età con la giovane moglie. Per questo, ha aggiunto il procuratore, “accanto alla responsabilità penale di autori e mandanti vi è anche la responsabilità morale di chi non l’ha ascoltato o l’ha privato dei mezzi per garantire libertà e democrazia, legalità e giustizia”. Dalla Chiesa tenne in ogni caso fede ai suoi forti principi etici. Pochi giorni prima di morire, ha ricordato Grasso, “certe cose si fanno per poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa”.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha inviato al prefetto di Palermo, Umberto Postiglione un messaggio nel quale definisce il generale Dalla Chiesa,di cui ricorre il trentennale della uccisione un ” eccezionale servitore dello Stato, di comprovata esperienza operativa e investigativa” . Ricordarne il sacrificio “contribuisce a consolidare quella mobilitazione di coscienze e di energie e quell’unione d’intenti fra Istituzioni, comunità locali e categorie economiche e sociali, attraverso cui recidere la capacità pervasiva di un fenomeno criminale insidioso e complesso”. Questo il messaggio del Capo dello StatoI:”A trent’anni dal vile agguato al prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, alla moglie Emanuela Setti Carraro e al coraggioso agente di scorta Domenico Russo, crudelmente assassinati dalla mafia, rendo commosso omaggio alla loro memoria, ricordandone l’estremo sacrificio a difesa delle Istituzioni e dei cittadini. Eccezionale servitore dello Stato, di comprovata esperienza operativa e investigativa, in Sicilia ed in altre regioni, arricchita dagli straordinari risultati conseguiti nella lotta al terrorismo, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa fu inviato nuovamente nell’isola, quale prefetto della provincia di Palermo, in una fase particolarmente difficile della lotta alla mafia. La sua uccisione provocò un unanime moto d’indignazione, cui seguì un più deciso e convergente impegno delle Istituzioni e della società civile, che ha consentito di infliggere colpi sempre più duri alla criminalità organizzata, ai suoi interessi economici ed ai suoi legami internazionali”. “Ricordare il sacrificio del generale Dalla Chiesa e dei tanti che ne hanno condiviso il destino a salvaguardia dei valori di giustizia, di democrazia e di legalità, contribuisce a consolidare quella mobilitazione di coscienze e di energie e quell’unione d’intenti fra Istituzioni, comunità locali e categorie economiche e sociali, attraverso cui recidere la capacità pervasiva di un fenomeno criminale insidioso e complesso”, aggiunge il Capo dello Stato. “Con questo spirito di rinnovata adesione ai valori fondanti della Repubblica e interpretando i sentimenti di gratitudine dell’intera Nazione, rinnovo ai familiari del generale Dalla Chiesa, della sua gentile consorte Emanuela e dell’agente Russo espressioni di calorosa vicinanza e solidale partecipazione al loro dolore”.


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