Un Cavani chiamato Cavallo - Live Sicilia

Un Cavani chiamato Cavallo

Palermo calcio
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Forse per Edinson Cavani potrebbe andare bene la definizione che il compianto Gianni Brera diede del compianto Gigi Meroni, calciatore granata morto tragicamente e prematuramente: “Un brocchetto gambastorta”. Per la prosa perfetta di Gioannbrerafucarlo era un elogio d’oro massiccio, sotto la ruvida apparenza dello sfottò. Significava riconoscere il talento che non nasce quasi mai dall’applicazione geometrica di un principio, ma si svela nella maionese impazzita di una giocata impossibile. Tale era Meroni che cavava le dolcezze più rutilanti dagli angoli più irregolari. Tale forse è la natura di Edinson che accende lampadine nell’oscurità quando, ormai, ti sei stancato di aspettare.

Al di là della tara delle debite differenze, la similitudine calza. Cavani non si applica alla partita per novanta minuti. Non ha l’assiduità delle giocate artigianali. Non riempie gli occhi per più di trenta secondi. Il resto è un caracollare ai margini della mischia. Qualche rincorsa svogliata. Un mulinare di gambe, umori e pensieri, mentre gli altri si affannano a tirare su muri il più possibile compatti. Poi, arriva lui e magari si divora un gol da due passi, mistificando una costruzione che ai serventi è costata sudore, fatica e lacrime. E quando ti sei deciso a mandarlo a quel paese, per manifesta e presunta incompetenza. Quando finalmente hai dato stura alla bile e ti accingi a lanciare improperi sanguinari e contundenti, il Cavani chiamato Cavallo che fa? Segue la retta di un pallone dettato da “Monciccì” Simplicio. Lo lascia scorrere oltre la caviglia sbilenca, appena ti sembra tutto perduto, si inventa una mazzolata che lascia Rubinho di sale e dà la miccia alle polveri di uno stadio sognante. Una vocazione drammatica sincera. Buio in sala, suspence, panico. Gol.
Questo è il brocchetto gambastorta che trotta distratto, prima di esplodere il galoppo sfrenatissimo. Questo è un Cavani chiamato cavallo. Fu così pure all’esordio con la Fiorentina. Nessuno – che non fosse stato felicemente in preda a un momento di pazzia – avrebbe mai tentato l’inosabile. Il colpo a sorpresissima in una partita in bilico. Un golazo che equilibrò la rete di rapina di Mutu (con Guana a terra) e ricompose il senso estetico di quella gara, altrimenti oscura e gaglioffa. Guidolin rimase di stucco, pur ammirando il talento del suo purosangue. Guidolin è un uomo onesto che allena come si timbra il cartellino in fabbrica. Ama il mattone e la solidità. L’improvvisa apparizione di un talento lo ammutolì.
Ne sono passati di cavalli, partite e praterie. Edinson è rimasto confinato sulla fascia, nel recinto del ranch e nella bolla impenetrabile di un dilemma tattico: attaccante, o esterno? Lui, dal canto suo, si è sempre considerato una punta, un rapinatore d’area, per intima convinzione tecnica e per il sogno che si sogna nelle sue contrade sudamericane. Il Mago Ballardini lo ha liberato dall’incantesimo perfido che ne bloccava garretti e gioia. Cavani, accanto al portiere avversario, segna. Cavani si diverte. Cavani, finalmente, sorride. Poi va in sala stampa. Ringrazia Dio, sua moglie e gli amici scomparsi. Dice cose di semplice poesia. Sarà per questo che i giornalisti lo trovano tanto noioso.


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