Totò Cuffaro si difende dalle accuse| e ribadisce: "La mafia va schifiata" - Live Sicilia

Totò Cuffaro si difende dalle accuse| e ribadisce: “La mafia va schifiata”

Il processo per concorso esterno
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Mentre Berlusconi chiede la fiducia al Senato, Totò Cuffaro, ormai ex Udc, non potrà votarla perché è a Palermo a difendersi nel processo che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, di fronte al gup Vittorio Anania. E, a sorpresa, decide di fare dichiarazioni spontanee. Dopo una condanna a sette anni in secondo grado per favoreggiamento a Cosa nostra e dopo un proscioglimento sul caso dell’assunzione senza concorso di 20 giornalisti alla Regione siciliana, l’ex governatore – per la prima volta – decide di entrare in prima persona nel dibattimento e quasi si sostituisce ai suoi legali. Legge una pila di fogli e tenta di confutare punto per punto la requisitoria dell’accusa, rappresentata dai pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, che per lui hanno chiesto una condanna a 10 anni. E ribadisce il monito che, durante la sua presidenza a palazzo D’Orleans, è apparso nei tabelloni pubblicitari di tutta la Sicilia: “La mafia va ‘schifiata’, non mitizzata. Se si fa vedere Messina Denaro in Ferrari, con gli occhiali, gente culturalmente meno attrezzata di noi può tendere ad emularlo”.

L’accusa nei confronti di Cuffaro è di essere stato “a disposizione” della mafia in tutta la sua carriera politica. A cominciare dagli inizi degli anni ’90, in cui ha incontrato Angelo Siino, il ‘ministro dei lavori pubblici’ di Cosa nostra. “Ho incontrato Angelo Siino nel ’91 – ha detto in aula l’ex governatore – ma non sapevo che era mafioso. Ci sono andato per chiedergli un aiuto elettorale. Seppi solo dopo del suo ruolo in Cosa Nostra. Quando Calogero Mannino seppe che avevo visto Siino si arrabbiò molto”. Siino, diventato poi collaboratore di giustizia, ha raccontato di averlo incontrato due volte e di aver ricevuto baci e abbracci. Ma Cuffaro nega: “Era la prima volta che lo vedevo non è possibile che l’abbia baciato. L’avrà riferito sapendo che, per carattere, se ho rapporti di amicizia con le persone, sono affettuoso”.

Passando in rassegna i punti dell’accusa, arriva anche ai fatti ‘agrigentini’, quelli riferiti da Maurizio Di Gati, già capomandamento della provincia, oggi pentito. Appoggio elettorale in cambio di appalti, quelli per la costruzione del termovalorizzatore di Casteltermini-Campofranco, e della concessione di una farmacia, nella sua Raffadali, a favore di Maurizio Incorvaia, socio di Di Gati e parente di Nick Rizzuto, boss della mafia canadese. Secondo le dichiarazioni di Di Gati, infatti, il boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, tramite Leo Sutera, avrebbe fatto giungere la richiesta di appoggio a Cuffaro nelle elezioni regionali del 2001.Per lui la questione non esiste. “Le farmacie per legge sono una ogni 5mila abitanti. A Raffadali ce n’erano già tre per 11mila abitanti. I bandi sono gestiti dall’ordine dei farmacisti e dalla facoltà di farmacia”. Quanto ai lavori per il termovalorizzatore, Cuffaro sostiene che non poteva “aver promesso a Di Gati la costruzione del termovalorizzatore di Casteltermini perche allora, nel 2001, non si parlava ancora di termovalorizzazione”. L’ex governatore ha spiegato come a quel tempo era ancora in vigore il piano di smaltimento rifiuti del 2000, del governo Capodicasa, mentre nel 2002 Sutera è stato arrestato. Il progetto dei termovalorizzatori parte nel 2003 per cui Sutera non poteva aver parlato dell’argomento con Di Gati.

Infine Cuffaro parla anche delle elezioni regionali del 2001, quelle di cui si discuteva nel salotto pieno di cimici di Giuseppe Guttadauro, campomandamento di Brancaccio. Questi cercava di piazzare un uomo all’Ars e s’era fatto avanti Salvo Priola, il suo avvocato, che aveva cercato di ‘autoaccreditarsi’. “Quando mi si è fatto avanti l’avvocato Priola a Roma – ha spiegato Cuffaro –  al congresso del Cdu, chiedendomi un posto nel listino del presidente alle regionali del 2001, non potevo accontantarlo perché veniva da un altro partito ma gli ho proposto di entrare nella lista del partito. Lui allora mi ha detto che veniva a nome di Guttadauro e ho risposto: ‘Guarda, se la metti cosi, allora neanche nel partito ti candido’, l’ho trattato in mala maniera”. Secondo Cuffaro, Mimmo Miceli (condannato in appello a 8 anni per concorso esterno) assistette alla scena e per questo non gli avrebbe mai fatto cenno dei suoi rapporti con Guttadauro che Cuffaro dice di aver incontrato solo due volte: al matrimonio di Salvatore Aragona e al pronto soccorso, quando suo figlio era stato investito da un’auto e Guttadauro era il medico di turno.


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