La quiete prima dell'ambulanza - Live Sicilia

La quiete prima dell’ambulanza

Voci della Sanità. Il Civico
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3 min di lettura

Fuori è un tiepido pomeriggio di inizio primavera. Dentro è l’ospedale Civico. Tra un ingorgo snervante di auto, lo strombazzare compulsivo dei conducenti e le tante deviazioni di strade e stradine per i lavori della metropolitana, varie ed eventuali, raggiungiamo il pronto soccorso dell’ospedale Civico di Palermo. Una delle due porte a sensori si apre magicamente quando ci posizioniamo davanti, l’altra è aperta a metà. La sala d’attesa è occupata da sei persone: una coppia di giovani fidanzati, un’altra coppia meno giovane e due uomini che aggiornano i parenti a casa sulle condizioni della madre.

L’orologio segna le 16:30, lo schermo, posizionato in alto, indica che al momento ci sono sette pazienti, di cui tre codici gialli e quattro verdi. E’ tutto tranquillo e ordinato, forse troppo per un pronto soccorso, sembra infatti di trovarsi nella sala d’aspetto del proprio medico curante in attesa di farsi prescrivere gli antibiotici o di farsi controllare la pressione. La situazione appare tranquilla e ordinata anche nella zona dove, un infermiere, seduto dietro a un bancone, si occupa del triage clinico, assegnando un numero e un “colore” a ogni paziente, e dove si susseguono una serie di stanze destinate alle visite.

Tutto cambia, però, dopo una decina di minuti. Arrivano due ambulanze che trasportano due anziani, un signore la prima, una signora la seconda. Altre persone si avvicendano per chiedere un controllo. Una giovane moglie accompagna il marito che si tocca la mano dolorante a causa di una caduta, un papà sorregge la figlia che lamenta dolore al fianco sinistro. Un viavai di uomini e donne passa dalla stanza delle visite a quella d’aspetto, dalle sedie alle macchinette del caffè. Anche i toni si fanno più accessi. Un uomo corre ad accusare l’infermiere che gli ha assegnato un codice bianco, una donna chiede spiegazioni ad alta voce sul perché i risultati di laboratorio tardano ad arrivare. “E’ da più di un’ora che aspettiamo questi esami”. Il vigilante interviene per ristabilire un po’ d’ordine.

“8899 – 8899”, un’infermiera chiama il numero sul tabellone, il paziente successivo. “Forza, dai alzati, che finalmente veniamo noi”, dice la moglie al marito. Un’altra aggiorna il coniuge sulle persone che ancora devono aspettare. Le suonerie dei cellulari si accavallano, i rituali di controllo dell’ora aumentano. “E’ da tre quarti d’ora che siamo qua, e chissà quando entreremo. L’altra volta abbiamo perso un’intera giornata. Noi abitiamo qua vicino e quindi ci viene comodo venire. E poi, ho un cognato che lavora al Policlinico, l’ho chiamato e mi ha detto di non portarlo da lui perché per ora c’è un macello” racconta una signora alla vicina di sedia.

“L’altra volta, io avevo un dolore al petto mi sono spaventata e sono andata al Cervello – dice un’altra donna – Pure là ho perso un giorno intero. La verità è che tutti i posti sono uguali, si sa quando si entra ma non si sa quando si esce. Anzi dopo il servizio di Striscia la notizia, qua al Civico sembra che le cose siano migliorate. Speriamo che duri.” Speriamo che duri, ci auguriamo anche noi.

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