Smart and sexy| Forza e fragilità di Catania - Live Sicilia

Smart and sexy| Forza e fragilità di Catania

Catania vuole diventare importante e stare sul palcoscenico, oppure si accontenta di poco? La riflessione dell'economista Maurizio Caserta.

IL FUTURO DELLA CITTA'
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5 min di lettura


Sono diventate di moda le smart city, ossia le città intelligenti, le città che ragionano, le città che attivano le connessioni. Ma in italiano smart non significa intelligente. Non é un caso che nella lingua inglese esistano le due parole: smart e intelligent.  Sarebbe meglio forse parlare di città connesse, seguendo un uso colloquiale del termine per il quale il termine ‘connesso’ indica qualcuno con un cervello. Si potrebbe dire allora che una smart city é una città con un cervello. Ma forse non basta. Si distingue infatti il cervello dalla mente.  La mente é coscienza, identità, pensiero. Non si può certo essere smart senza avere consapevolezza di sé, senza la capacita di comprendere il senso e gli effetti delle proprie azioni, senza un progetto per il futuro. Allora una smart city é una città che ha una chiara immagine di sé, che sa rappresentare quell’immagine, che pensa a sé stessa, a cosa é, a cosa potrebbe e dovrebbe essere. Una città con un cervello e con una mente, insomma.

É Catania una smart city? Una città con un cervello? É una città connessa, che pensa e agisce in modo coordinato? E soprattutto é una città con una mente, ossia una città con un’identità e una coscienza? Sa cos’é, cosa potrebbe e cosa dovrebbe essere? É un insieme di atomi indipendenti che occasionalmente si aggregano, oppure ‘fa sistema’? Riesce ad agire come un sol uomo (o una sola donna)? Chi crede di essere? É maschio o femmina? Bella o brutta? Ha una storia o l’ha dimenticata? É aperta o chiusa? Vuole diventare importante e stare sul palcoscenico, oppure si accontenta di poco? Insomma é una, con un solo cuore, un solo cervello e una sola mente, o tante piccole città che convivono l’una accanto all’altra?

Un osservatore esterno che si ritrovasse a Catania, senza averne sentito parlare prima, avrebbe difficoltà a capire chi é veramente Catania. Stretta tra una montagna imponente, una pianura fertilissima, e un mare avvolgente, la città non appare né una città ai piedi di una montagna, né una città di mare, né una città verde. Se questo osservatore salisse su una delle cupole del suo centro storico vedrebbe sia l’Etna, sia il mare, sia la pianura con i ‘giardini’ di arance. Ma scendendo dalle cupole, ed incontrando i catanesi informati, sentirebbe dire che la città ha una vocazione commerciale, una tecnologica ed una culturale. Si chiederebbe come mai essa non abbia tratto la sua identità da ciò che é per natura, e abbia voluto nel tempo costruire una identità diversa, inseguendo forse propensioni che non le erano congeniali. Troverebbe, infatti, che né il settore commerciale né quello tecnologico né quello culturale sono particolarmente floridi in città. Troverebbe una città quasi intrappolata in una natura che non riconosce, che tenta in ogni modo di schermare; una città che nega la sua bellezza e fa di tutto per imbruttirsi. Non può essere smart una città che rinuncia ad essere sexy. Non può essere smart una città che nega la sua identità originaria e non riesce a costruirne efficacemente una nuova.

Che fare allora? Se chiedessimo a quell’osservatore esterno, questi suggerirebbe sicuramente di cominciare a spogliare la città di tutti quei diaframmi che impediscono, a chi la osserva, di vedere quanto é bella.  Che si vedano l’Etna, il mare, i giardini di arance da tutti gli angoli della città. E se non si possono vedere facilmente, che se ne racconti la storia. Che si faccia un museo dell’Etna, un museo del mare, ed un museo degli agrumi; e poi un grande museo della città, che racconti la sua storia millenaria, della sua cultura e della sua arte.  E che si faccia questo museo nel suo edificio più imponente, quel Castello Ursino che sta lì a ricordare l’antico rapporto della città col mare. Che la città non arrossisca a mostrare le sue forme un po’ più rotonde. Che non tema di essere provinciale; la paura di essere provinciale é la forma più diffusa di provincialismo. Sappia che nella grande competizione internazionale, alla quale é bene che si apra con convinzione, vincono i talenti veri, non quelli faticosamente artefatti. E sappia pure che per i talenti veri i prezzi che si formano sui mercati possono essere altissimi. Se Catania ha veramente un’anima commerciale, metta su il prodotto migliore che ha, ossia sé stessa, la sua storia,  la sua cultura, la sua geografia, e confezioni quel prodotto nel modo più attraente possibile. Non cerchi l’omologazione; non istituisca gemellaggi; rivendichi orgogliosamente la sua singolarità. Si può essere civili, ordinati e pure sexy, come lo sanno essere le donne e gli uomini del mediterraneo.

FQuello stesso osservatore non mancherebbe di ricordare che la città ha pure molte fragilità, che derivano dalla sua geografia e dalla sua storia. Non é smart ignorare quelle fragilità e far finta che non ci siano; la mente é innanzitutto coscienza del reale e capacità di elaborare un pensiero che non confligga con la realtà. La terra su cui la città si posa é una terra molto instabile; il rischio sismico in città é molto alto. Ma anche la società che abita la città é molto fragile; si poggia su basi di fiducia e di cooperazione assai deboli. Il rischio di una dissociazione e frammentazione é pure molto alto. Contro i rischi ci si assicura pagando un premio. Ma a volte mancano le risorse per pagare i premi e senza queste garanzie il prodotto non si vende. Il problema é che, se il prodotto non si vende, mancano proprio le risorse per pagare i premi. Sembra dunque che il nostro osservatore ci abbia prima illusi per disilluderci poco dopo.

 

In verità la via d’uscita esiste ed il nostro osservatore la conosce bene. Si dice disponibile a reperire le risorse per pagare quei premi e avviare così quel circolo virtuoso che poi si alimenterebbe da solo. Ma chiede una condizione: che sia giustamente remunerato per quelle risorse e che possa controllarne l’uso almeno nella fase iniziale. Penso che dovremmo essere saggi e accettare. Smart, sexy and wise. Cosa si può desiderare di più?


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