Gli insulti, gli ufo, le umiliazioni |La ricostruzione del delitto Tusa - Live Sicilia

Gli insulti, gli ufo, le umiliazioni |La ricostruzione del delitto Tusa

Vincenzo Gambino, accusato di aver ucciso il cognato Giovan Battista Tusa

Martedì, Vincenzo Gambino, 80 anni, stava tornando a casa quando avrebbe incontrato Giovan Battista Tusa. "Mi insultava ogni giorno, mi colpiva con le stampelle, mi aveva pure picchiato. Ed io uscivo sempre con la pistola". Poi le farneticazioni sugli ufo: "Quelle luci in campagna erano extraterrestri". Un tentativo per apparire infermo di mente?

IL RACCONTO DELLE FASI DELL'OMICIDIO
di
2 min di lettura

PALERMO – I boschi, gli ufo, le invasioni di extraterrestri tra le campagne. Vincenzo Gambino, 80 anni, il cognato del 71enne Giovan Battista Tusa, dopo essersi costituito ed essere stato sottoposto a fermo da parte della polizia, ha divagato sul racconto delle sue quaranta ore in fuga, dando l’impressione di volere apparire infermo di mente. Poi, davanti ai pm Demontis, Buzzolani e Agnello, si sarebbe mostrato disponibile ad offrire a tutti frutta e verdura.

L’ottantenne, scappato con la sua pistola calibro 38 – la stessa che avrebbe puntato contro Tusa martedì pomeriggio – è apparso sicuro di sé durante l’interrogatorio, ma a tratti molto confuso, al punto che, tutt’ora, il reale motivo che l’ha spinto a sparare contro il cognato che aveva precedenti per associazione mafiosa, non è chiaro. Di certo, il rapporto tra i due era burrascoso da anni. La ricostruzione delle fasi dell’omicidio tra i vialetti della proprietà privata al civico 220 di via Villagrazia sembra però definita: Gambino sarebbe stato deriso per l’ennesima volta da Tusa, che avrebbe avuto l’abitudine di colpirlo con le sue stampelle e lui, si sarebbe vendicato dando sfogo ad un rancore che marutava da tempo.

“Mi diceva ‘cornuto’, mi dava colpi di stampelle – ha raccontato agli inquirenti – e prima o poi dovevo reagire, stavo per scoppiare”. Forse una vendetta che Gambino rimandava giorno dopo giorno: fatto sta che quella pistola la portava sempre con sé, nonostante gli fosse stata autorizzata soltanto la detenzione dell’arma. Non poteva uscire armato, ma il pensiero di incontrare il cognato lo impauriva: “In passato mi aveva anche picchiato – ha precisato Gambino – e avrebbe continuato ad umiliarmi con i suoi insulti. Martedì – ha continuato – non ce l’ho fatta più e quando l’ho incontrato, rientrando a casa, abbiamo litigato. Dopo avere sparato me ne sono andato ed ho camminato per i boschi, non ho avvisato nessuno, nemmeno la mia famiglia. Poi mi sono rifugiato nella casa di campagna, dove ho seppellito la pistola. Tra i boschi ho visto delle ombre, sembravano quelle degli extraterrestri. Si muovevano”.

Un tentativo per apparire fuori di testa agli occhi degli inquirenti per il terrore del carcere? Gambino si trova già al Pagliarelli, in stato di fermo con le accuse di omicidio volontario e porto abusivo di arma, ma potrebbe non restare a lungo dietro le sbarre, vista la sua età. Saranno le indagini che proseguono in queste ore ad accertare la sua posizione e a fare chiarezza sul movente.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI