Stangata per il clan di Brancaccio| Venti condanne - Live Sicilia

Stangata per il clan di Brancaccio| Venti condanne

Sono pesanti le condanne inflitte ai venti imputati dal giudice per l'udienza preliminare Nicola Aiello. Sotto processo l'intero organigramma della cosca di Brancaccio, da Nunzia Graviano agli uomini che avrebbe retto il clan mafioso palermitano: Giuseppe Arduino e Antonino Sacco.

PALERMO, PROCESSO AL CLAN GRAVIANO
di
3 min di lettura

PALERMO – C’è Nunzia, la picciridda, della famiglia Graviano e i triunviri di Brancaccio. Ci sono i fiancheggiatori dei boss e i picciotti delle estorsioni. Nell’elenco dei condannati c’è l’intero organigramma di quella che gli investigatori hanno definito la nuova mafia del mandamento. Un mandamento retto, ieri come oggi, dai fratelli Graviano.

Sono pesanti le condanne inflitte ai venti imputati dal giudice per l’udienza preliminare Nicola Aiello. Pesanti nonostante lo sconto di un terzo della pena riservato a chi sceglie di essere giudicato con il rito abbreviato.

Tra i condannati ci sono pure Giuseppe Arduino (16 anni), indicato come il reggente del clan per conto degli storici capimafia che, nonostante da anni siano rinchiusi al 41 bis, avrebbero continuato a fornire le direttive, indicando i nomi di chi dovesse rappresentarli e occuparsi della gestione di un patrimonio senza fine. Arduino, ufficialmente portiere d’albergo, per mandare avanti la baracca si sarebbe affidato ad un triunvirato composto da Antonino Sacco, Giuseppe Faraone e Cesare Lupo. I primi due sono stati condannati oggi rispettivamente a sedici e dieci anni. Lupo viene giudicato in un altro processo.

Sarebbero ancora i fratelli Graviano, capimafia dell’ala stragista di Cosa nostra, dunque, a comandare nel quartiere palermitano di Brancaccio. Filippo e Giuseppe, boss detenuti da anni, avrebbero tenuto le redini del mandamento con l’aiuto della sorella Nunzia tornata in libertà dopo avere scontato una condanna per mafia. Nunzia, soprannominata a picciridda, si era trasferita a Roma, dove gestiva un bar. Viveva in un bell’appartamento ai Parioli. Ed è qui che fu arrestata nel 2011 dagli agenti della Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile di Palermo coordinati dall’allora procuratore aggiunto Ignazio de Francisci e dai sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Secondo gli investigatori, sarebbe stata lei il terminale delle estorsioni. Il collaboratore di giustizia Fabio Tranchina così descrisse la scalata al potere della donna quarantaseienne: “Nunzia mi disse ‘da questo momento in poi ci sono io a valere nella nostra zona, ti raccomando questo discorso tienilo chiuso’, e mi fece un segno con le mani come di tenermi chiuso”.

L’indagine che azzerò il clan di Brancaccio fu una delle tre operazioni messe a segno, due anni fa e in un unico giorno, a Palermo. In tutto finirono in cella 36 persone. Emerse una fitta rete di relazioni tra i vertici della cosca di Brancaccio, alcuni in contatto con i capi della ‘Ndrangheta, e quelli di altre famiglie mafiose della città: diversi i summit organizzati per risolvere i contrasti tra i clan. Uno fra tutti, quello a Villa Pensabene. L’indagine mise in luce momenti di grave frizione tra le diverse anime di Cosa nostra ancora prive di una figura carismatica di riferimento dopo le catture dei padrini latitanti: più volte, nel corso dell’inchiesta, gli inquirenti temettero un ritorno in armi dei clan.

I mafiosi arrivarono alla spicciolata nel maneggio-ristorante dello Zen. Era il 7 febbraio 2011 e c’erano, tra gli altri, pezzi da novanta come Giulio Caporrimo, Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta (che sarebbe stato poi ammazzato), Salvatore Seidita, Alfonso Gambino, Gaetano Maranzano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici. A rappresentare gli interessi dei Graviano si presentarono Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino. Il clima fu teso tanto che gli uomini di Brancaccio avevano in mente di usare le armi. “… gli sparo un una gamba… se eravamo in campagna vedi che lo ammazzo”, diceva Sacco, uno dei tre componenti del triunvirato.

Lungo l’lenco delle parti civili: Addio Pizzo, Confindustria Palermo, Associazione antiracket Solidaria, Sos Impresa, Coordinamento Vittime delle estorsioni, Confcommercio Palermo, Confindustria Sicilia, Centro Padre Nostro, Centro studi Pio La Torre, Libero Futuro, Comune di Palermo. A ciascuna di loro andranno 8 mila euro di risarcimento danni.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI