Sieropositivo discriminato sul lavoro |"Vi racconto il mio inferno..." - Live Sicilia

Sieropositivo discriminato sul lavoro |”Vi racconto il mio inferno…”

Aveva vinto un concorso pubblico come operatore sanitario all'Asp di Catania ma non è stato ritenuto idoneo in quanto portatore sano di Hiv. Il tribunale del lavoro ha disposto il reintegro del lavoratore. LE INTERVISTE AI LEGALI

CATANIA – Ha stretto la mano chiedendo di poter rimanere nell’anonimato, perchè non sono il suo volto e il suo nome quelli che contano ma la sua storia. Una storia, purtroppo, tutta siciliana. Il protagonista è un catanese che nel 1996 ha scoperto di essere sieropositivo. Una condizione che pesava nella sua vita, ma che due anni fa si è trasformata in un vero inferno. Siccome è affetto dal virus dell’Hiv non è idoneo a poter svolgere il lavoro che ha ottenuto superando un concorso pubblico. Eppure la stessa mansione di operatore sanitario l’aveva svolta per oltre 10 anni in una struttura del nord, ma all’Asp di Catania un medico ha deciso che siccome era sieropositivo non era idoneo a poter assumere l’incarico.

La voce si rompe quando racconta il momento in cui quel dirigente medico gli ha detto: “Mi dispiace ma lei è un pericolo pubblico per i terzi”. E pensare che tutto è iniziato perchè ha voluto raccontare la verità, perchè nel suo ruolo conquistato voleva poter garantire il suo posto di lavoro e la salute dei pazienti. “Nella struttura del Nord Italia – racconta a LiveSiciliaCatania – ho lavorato tranquillamente in diversi reparti, mi avevano dato l’idoneità naturalmente con le dovute prescrizioni”. Una porta sbattuta in faccia, un colpo in pieno viso che ha lasciato cicatrici profonde ma ha anche stimolato la voglia di lottare. E la sua battaglia, quella giudiziaria, l’ha vinta, anzi stravinta. Nei primi mesi del 2013 è arrivata una sentenza del Tribunale del Lavoro che ha disposto l’immediato reintegro del lavoratore. “Ora sono felicemente stanco, ma l’ho ripeto per due anni ho avuto gli incubi. Mi sono sentito diverso e discriminato. E tutto questo perchè volevo tornare a casa dopo 20 anni di assenza. Pensavo che tutto il mondo è paese, ma dispiace dirlo – confessa amaramente – così non è”.  Lontano dal luogo dove è nato è stato trattato da essere umano, qui a Catania ha dovuto ascoltare chi gli diceva che rappresentava un pericolo.

I suoi legali, Valentina Riolo e Michele Giorgianni, evidenziano l’alto profilo giuridico e sociale di questo caso, che può e (forse) deve fare scuola. “Si tratta di una vicenda particolare e delicata – dichiara a LiveSiciliaCatania l’avvocato Valentina Riolo – un lavoratore è stato discriminato perchè portatore sano di Hiv, tutto questo senza che sia stata fatta alcuna istruttoria, alcun approfondimento sulla sua reale condizione, tutto dovuto semplicemente ad una presunta inidoneità fisica che non è stata motivata e provata e che poi difatto era inesistente, infatti poi è stata smentita dal Ctu che abbiamo fatto intervenire nel corso del giudizio”.

I due legali hanno coinvolto nel caso la Lila, la Lega italiana lotta Aids, soprattutto per dare risonanza mediatica alla sentenza.  “E’ importante dare divulgazione di questa storia – evidenzia Michele Giorgianni – sotto il profilo giuridico e sociale, perchè oggettivamente c’è un vuoto legislativo enorme sotto su tutta questa materia, c’è solo una legge del 1990 e una sentenza della Corte Costituzionale del 1994, che però è stata male interpretata tanto da creare l’equivoco a cui è stato sottoposto il nostro assistito. Qui siamo davanti a un buco legislativo importante e siamo contenti di essere riusciti a sanarlo con una sentenza che certamento è uno sprone al dibattito. Colui che è portatore sano di Hiv non solo non piò essere discriminato come è ovvio, ma anzi deve essere tutelato, deve essere messo nelle condizioni di poter lavorare, di poterlo fare nelle condizioni più salubri possibili. Poi – continua l’avvocato – lasciatemi dire una cosa, servirebbe un po’ più di conoscenza sull’argomento. E’ assurdo che in ambito medico non si sappia assolutamente niente, che non si sappia come trattare questi casi e che non ci siano protocolli in merito”.


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