La cellula dei Madonia a Catania |Condannato il “faccendiere” di Tusa - Live Sicilia

La cellula dei Madonia a Catania |Condannato il “faccendiere” di Tusa

La Dia nel 2011 smantella il quartier generale della famiglia di Caltanissetta creato alle falde dell’Etna. Arriva la sentenza del processo ordinario dell’inchiesta Gibel: accolte in pieno dai giudici le richieste di pena dei pm Jole Boscarino e Rocco Liguori.

CATANIA – Condanna a 13 anni per Pippo Faro. Sarebbe lui uno dei più stretti collaboratori di Lucio Tusa, nipote del capomafia di Caltanissetta Giuseppe Piddu Madonia, che aveva creato a Catania una cellula criminale della cosca nissena. Il quartier generale di Tusa fu smantellato dalla Dia nel 2011 con la retata Gibel coordinata dai pm Jole Boscarino e Rocco Liguori. A livello processuale l’inchiesta si è spaccata in due stralci. Il processo ordinario che vede imputati oltre a Giuseppe Faro, Gaetano Ursino, Carmela Donatella Di Dio e Francesco Giovanni Russo è arrivato alla sentenza di primo grado. Nello stralcio in abbreviato (con Lucio Tusa e l’imprenditore Ardizzone alla sbarra) invece è già stato superato il verdetto in appello.

Molte lo ore di dibattimento che si sono susseguite nel processo ordinario: ascoltati testi, investigatori, collaboratori di giustizia. I pm, da una parte, hanno sviscerato l’apparato probatorio raccolto in mesi di indagini della Dia, mentre dall’altra i difensori hanno cercato di smantellare le accuse. Ad inchiodare gli imputati sono le intercettazioni nella casa di Lucio Tusa: in via Quintino Sella era stata creata una “cerniera” tra i Santapaola e la cupola palermitana. E con l’appoggio di “teste di legno” e “faccendieri” Tusa avrebbe concluso affari di indubbia rilevanza criminale, dalla droga agli appalti.

Torniamo alla sentenza. I giudici hanno accolto in pieno le richieste dell’accusa: condanna a 12 anni per Giuseppe Faro, 12 anni per Gaetano Ursino, 9 mesi per Carmela Donatella Di Dio e un anno per Francesco Giovanni Russo. Per Ursino il giudice ha disposto il dissequestro di una parte del patrimonio che fu oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare.

Giuseppe Faro, nella requisitoria dei pm, viene definito la “lunga mano” di Lucio Tusa. Un uomo che poteva contare sulla piena fiducia del nipote di Giuseppe Madonia che lo delegava a compiti molto delicati, come quello del traffico di stupefacenti. Giuseppe Faro non solo sarebbe in continuo contatto telefonico con Lucio Tusa, ma sarebbe quasi sempre presente nei vari incontri tra sodali. Non mancano le occasioni in cui l’imputato si fa anche bonificare la sua auto per controllare la possibile presenza di cimici. E di Pippo Faro parlano due collaboratori di giustizia: Eugenio Sturiale (che è transitato in diversi periodi nei Santapaola, Laudani e Cappello) e il nisseno Carmelo Barbieri.

Sturiale ha dichiarato che ha incontrato Faro (insieme a Tusa e Ardizzone) per fare “i discorsi di malavita”. I rapporti tra i Santapaola e i Madonia erano “ottimi”, il pentito si sarebbe rivolto a Tusa per risolvere un problema che aveva a Mazzarino. E di quella vicenda avrebbe proprio parlato con Pippo Faro che gli avrebbe dato appuntamento a casa di Orazio Privitera (capo clan dei Cappello). Faro – ha riferito sempre Sturiale – all’interno del gruppo si sarebbe occupato di sostanze stupefacenti. Un ruolo questo che emerge anche dalle rivelazioni di Barbieri che nel 2007 lo avrebbe incontrato a Gela: Faro gli avrebbe proposto una fornitura di notevoli quantitativi di cocaina a buon prezzo.

Gaetano Ursino, altro personaggio di spicco dell’entourage dell’esponente dei Madonia, sarebbe secondo le ipotesi della Procura “uno dei più assidui frequentatori di Lucio Tusa con il quale condivideva interessi economici”. I pm nella requisitoria mettono in rilievo una conversazione, da cui emergerebbe l’affiliazione di Ursino alla cellula catanese dei Madonia. A casa di Tusa, in via Quintino Sella il 10 gennaio 2009 Ursino, dopo un rimprovero di Tusa per il suo attaccamento al denaro e per avere messo in discussione l’operato del capo, rispondeva testualmente “ma anch’io sono a tua disposizione”. Una frase che secondo i pm Boscarino e Liguori sottolinea “ il suo assoggettamento assoluto alle decisioni di Tusa”. Una ricostruzione che – vista la sentenza di condanna a 12 anni – ha convinto anche i giudici di primo grado.

Pronto al ricorso in appello è l’avvocato Tommaso Tamburino, difensore di Gaetano Ursino. “Prendiamo atto della sentenza di condanna – afferma – ma non la condividiame, anche in relazione alla pena che appare realmente spropositata. Ursino è un soggetto incensurato che è stato coinvolto in questo vicenda giudiziaria essenzialmente alla luce di una conversazione intercettata tra lui e un altro soggetto ritenuto appartenente a clan mafioso. Abbiamo sempre spiegato – aggiunge Tamburino – il contenuto di tale conversazione che nulla aveva a che vedere con logiche delinquenziali. Non ci diamo per vinti, leggeremo la sentenza e proporremo appello”.

 


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