Piccione, la lotta all'illegalità |e la passione per le riforme - Live Sicilia

Piccione, la lotta all’illegalità |e la passione per le riforme

La prefazione di Piero Fagone all'autobiografia dell'ex presidente dell'Ars.

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Dio disse: “ Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare e Dio vide che era cosa buona”. (Genesi 1, 9-10).

Da quella benedetta e irripetibile settimana durante la quale, giorno dopo giorno, il Creatore creò il creato, l’uomo si è sempre sforzato di trovare il senso del suo rapporto con il mare, identificato di volta in volta come “ l’infinito vivente ” o il “più in là” di Eugenio Montale. E ancora, il mare è stato considerato come l’ignoto, è stato paragonato ai moti dell’animo in cui fantasia, istinto e razionalità si fondono. E al mare si legano le spinte ancestrali alla ricerca del nuovo, alla conoscenza, al superamento dei limiti a noi imposti dalla condizione umana. A incarnare tutto questo è Ulisse, che da Omero a Dante per arrivare a James Joyce e a Stefano D’Arrigo, è stato celebrato come l’eroe moderno, l’uomo nuovo. Al rapporto tra uomo e mare sono state dedicate pagine meravigliose, si è sviluppata un’ampia letteratura marinara che ha scandagliato a fondo l’animo e la mente dell’uomo.

“Come si può capire qualcosa della vita, e capire a fondo se stessi , se non lo si è imparato dal mare?“ si è interrogato Federico Garcia Lorca; e Charles Baudelaire, il più maledetto tra i poeti maledetti, ha lasciato un sorta di testamento: “Homme libre, toujours tu chériras la mer! La mer est ton miroir; tu contemples ton âme Dans le déroulement infini de sa lame, Et ton esprit n’est pas un gouffre moins amer”. Leonardo Sciascia ha creato le categorie dei siciliani di scoglio e dei siciliani di mare aperto, dalle quali Andrea Camilleri si è poi tirato fuori.

E dunque: “Uomo libero, tu amerai sempre il mare“. Ora si dà il caso che Paolo Piccione sia nato e cresciuto proprio in riva al mare, a Torre Faro, e che proprio sul mare, a bordo di una barca da pesca, insieme col nonno, abbia maturato una propria singolarissima “educazione sentimentale” al dovere, alle sfide quotidiane e alla conoscenza. Tornano così in primo piano gli interrogativi sollevati da Garcia Lorca. Quella stagione, e per meglio dire, il senso e i caratteri di quella stagione giovanile hanno segnato, forse in modo indelebile, il corso dell’esistenza di un uomo che tra Torre Faro, Capo Peloro e la dirimpettaia costa calabra, con i temibili Scilla e Cariddi e tutti gli altri miti dello Stretto, Cola Pesce e Fata Morgana compresi, ha scoperto la sua Itaca: un luogo, con gli anni divenuto simbolico, da cui ha mosso i primi passi di un complesso viaggio sviluppatosi lungo l’arco di una vita e le cui diramazioni oggi si riannodano nel punto e nel momento dell’inizio.

Di questa parabola, con gli accadimenti di una vita intensa, Paolo Piccione ha voluto dare testimonianza mediante la forma letteraria del romanzo, che è insieme narrazione, autobiografia e diaristica. Ne è nato un racconto vivo perché condotto con animo libero, sgombro da risentimenti anche nei confronti di chi ingiustamente gli ha procurato grossi guai (le inchieste giudiziarie, con la ingiusta carcerazione, dalle quali Paolo Piccione è uscito assolto ma avendo avuto la brillante carriera politica distrutta e quella professionale di avvocato compromessa). Un romanzo che è anche singolarissima confessione: gli anni della formazione, gli studi, le ambizioni, le scelte esistenziali e politiche, la professione, la militanza socialista, gli incarichi amministrativi e di governo, la vita di partito e lo sport, il rugby. Da giovane Paolo Piccione è stato a Messina tra i primi praticanti di questa disciplina puntando al ruolo di ‘centrale di mischia’ (talloner). Ma pure (e forse soprattutto) la famiglia, i nonni, i genitori, i fratelli, la moglie, i figli, gli amici. Tutto si lega, si mischia, ma ogni cosa – persone, avvenimenti, luoghi – conserva i propri caratteri, il suo profilo distintivo. A questo nitido affresco fa da cornice poco meno di un secolo di storia italiana, dagli anni trenta del novecento ai nostri giorni e quindi le camicie nere, la guerra e il dopoguerra con le privazioni e la fame soprattutto per chi viveva in città, la liberazione, il referendum, i partiti, la Costituente e il referendum, il Patto atlantico, il patto di unità d’azione tra Pci e Psi, l’Autonomia siciliana, i fatti d’Ungheria,, il centrosinistra e i socialisti al governo, Mani pulite e la caduta dei partiti, Berlusconi e poi Il Pd con la sua incerta colorazione politica. Oggi, il referendum costituzione sulla fine del bicameralismo perfetto e, in qualche modo, il ridimensionamento delle attribuzioni alle regioni di diritto comune.

Il racconto muove e si conclude metaforicamente a Torre Faro. Paolo, un ragazzino biondo tanto da essere scambiato dai familiari per albino, cresce vicino al mare e dal mare, dai pescatori e dai marinai che tentano di dominarlo, è attratto in modo irresistibile. Ma la scuola che lui frequenta è ben diversa da quella dei fighetti (si direbbe oggi) dei Circoli nautici che allora imparavano a bordeggiare al timone dei dinghy, degli snipe o quali prodieri sulle star, se non addirittura sugli 8 metri s.l. No, la sua scuola è quella dei pescatori e la sua prima sfida è quella di issarsi lungo la scala di corda in cima all’albero, a ’ntinna, dall’alto del quale si scrutava il mare nella speranza di avvistare ricche prede. E poi viene la stagione delle scuole superiori, il liceo La Farina e l’Università, prima a Messina e dopo a Torino. I primi contatti politici, il rientro in Sicilia, il Partito socialista, il Comune , la Regione, la presidenza dell’Assemblea regionale. Sono anni difficilissimi in ragione della precarietà politica sotto l’incalzare dell’azione giudiziaria e dell’offensiva stragista lanciata dalla mafia contro lo Stato e gli uomini maggiormente esposti nella lotta contro il crimine organizzato.

Il 17 Febbraio 1992, a Milano, l’ingegnere Mario Chiesa, socialista, presidente del Pio Albergo Trivulzio, viene sorpreso mentre intasca un acconto di 7 milioni di lire su una tangente di complessivi 14 milioni. Quell’episodio da origine alla stagione di Mani Pulite che ben presto si allargherà a tutto il Paese. Tra i magistrati impegnati su questo fronte il più attivo appare il sostituto procuratore di Milano Antonio Di Pietro. All’inaugurazione dell’Anno giudiziario, dopo le relazioni e i discorsi dei più alti gradi della Magistratura, parla anche Di Pietro che detta un suo decalogo riguardo alla Pubblica Amministrazione e alle sue deviazioni. Di epigoni del magistrato abruzzese ne emergono tanti sparsi tra le diverse Procure. Un mattino i lettori della Gazzetta del Sud si ritrovano in seconda pagina un titolo assai significativo: “Il Di Pietro siciliano” e sotto una foto su due colonne del Sostituto Procuratore Angelo Giorgianni, che di lì a poco vedrà schiudersi le porte del Parlamento e del Governo.

Era consuetudine, e forse lo è ancora, che il Presidente dell’Assemblea regionale offrisse un dono ai deputati in occasione delle festività di fine anno. Dicembre 1992: al solito furono vagliate diverse proposte ma tutte apparivano banali o ripetitive. Quale la soluzione? La scelta non si fece attendere. Poche settimane prima, Rizzoli aveva pubblicato in edizione economica (ricordate la Bur che a partire dal dopoguerra ha contribuito a diffondere la letteratura antica e moderna in Italia?) le Verrine di Marco Tullio Cicerone, col testo latino a fronte di un’ottima traduzione in italiano e una introduzione davvero interessante. Due volumi in un cofanetto di cartoncino, in tutto 1272 pagine, prezzo abbordabilissimo. Ecco, l’originale dono natalizio del Presidente Piccione agli inquilini di Sala d’Ercole giunto proprio nel bel mezzo della temperie giudiziaria che avrebbe sconvolto la vita politica italiana. E a pochi o molti che fossero fra i deputati i lettori dell’atto d’accusa ciceroniano non sfuggì l’ammonimento contenuto in quell’inusuale strenna. Il processo di Verre fu celebrato a Roma nel 70 a.C. L’accusa: concussione, reato peraltro attualissimo nelle odierne cronache giudiziarie. Gaio Verre, che portava lo stesso nome del padre senatore non ne fu da meno. Schierato da sempre con il vincitore di turno, non esitò a tradire vecchi protettori e sodali. Nino Marinone, autore della introduzione, scrive che era stato il padre a insegnarli come fare carriera politica mediante brogli elettorali e che “già durante il servizio militare palesò i vizi che avrebbero poi guidato le sue azioni: era lussurioso, sprecone, disonesto, immorale” . Nel 73 a.C. fu nominato governatore della Sicilia e “ivi non ebbe più ritegno: ebbro del suo potere, avido di ricchezze e amante del lusso, ricercatore dei piaceri più raffinati e insaziabile collezionista di opere d’arte, passionale e violento sino ai confini della follia, spietato e crudele fino al delitto concepito e perpetrato con cinica freddezza, ‘libito fè licito in sua legge’ “. I siciliani, spogliati dei loro averi, affamati, “vittime di devastazioni e vessazioni” si rivolsero a Cicerone che avevano conosciuto bene cinque anni prima allorché questi venne da Roma nell’Isola quale pretore a Marsala. E Cicerone non li deluse. Compiuta una minuziosa inchiesta sul posto, fu implacabile accusatore nel processo al punto che Verre, trasferiti i suoi beni all’Estero (si direbbe oggi perché, gira e rigira la storia è sempre la stessa), cercò di chiudere la partita andando via da Roma in volontario esilio. Poi gli fu comminata una pena di tre milioni di sesterzi, somma lontanissima dal valore del bottino razziato. In esilio visse, in verità non male, per 26 anni, fino a quando Antonio, forte del suo potere di triunviro, non reclamò per se i preziosi vasi di Corinto che l’ex governatore della Sicilia aveva collezionato. Al rifiuto opposto da Verre, Antonio rispose in modo spietato: inserì il suo nome nelle liste di prescrizione e per Gaio fu la fine. Nelle liste di proscrizione, guarda un po’, era finito anche Cicerone per tradimento dello Stato (in pratica le congiure di palazzo dopo l’uccisione di Cesare) e fu giustiziato a Formia. Correva l’anno 43 a.C. A volte, le coincidenze della Storia.

A Paolo Piccione, che anche attraverso il Processo a Verre aveva lanciato un forte ammonimento contro le distorsioni della Pubblica Amministrazione e le tentazioni corruttive di spregiudicati imprenditori, faccendieri e mafiosi, la sorte, o per meglio dire le decisioni di alcune Procure poi contraddette dalle sentenze, ha riservato anche il carcere sia pure per brevi periodi. Proprio la lotta al malaffare e alla mafia è stata la costante della sua esperienza parlamentare. Un impegno che si è sviluppato in azioni concrete e mai in declamazioni retoriche. Basterà ricordare l’incontro tra i responsabili dei governi di Paesi diversi, le Agenzie dell’Onu, magistrati, studiosi, incontro promosso dalla Presidenza dell’Ars con l’obiettivo di predisporre misure efficaci anche a livello internazionale e un raccordo tra politica, istituzioni e società. E ancora il sostegno pieno e convinto offerto alla istituzione della Fondazione Falcone, gli incontri ripetuti con le famiglie delle vittime della mafia, la riforma degli appalti di opere pubbliche.

Su un altro versante, quello delle riforme, sono state raggiunte tappe assai significative a cominciare dall’elezione diretta dei sindaci che ha posto la Sicilia all’avanguardia in campo nazionale. Ma la presidenza dell’Ars, in quella sua breve stagione, tiene a riannodare il filo di una fattiva collaborazione tra Nord e Sud del Paese nella consapevolezza che il futuro del Paese, per tanta parte, è condizionata dall’eliminazione dei divari interni. E’ così che viene ripreso il disegno che era stato di Pier Santi Mattarella di legare a un rinnovato regionalismo un moderno meridionalismo non più piagnone ma capace di realizzare in concreto tutte le potenzialità possedute a cominciare dalla Regione siciliana mettendola con carte in regola. Matterella aveva trovato un alleato nell’imprenditore Piero Bassetti, presidente della Regione Lombardia. Paolo Piccione prova a spostare il dibattito da Palermo a Milano portando sulle prime pagine dei quotidiani milanesi i termini di una nuova questione meridionale che s’intreccia con una nuova e più avanzata frontiera per il regionalismo.

“Ritorni”, assieme a spezzoni di una vita intensamente vissuta, “tranches de vie” dalla memoria ripotati sulla carta, da conto di tutto questo e di molto altro, sotto una cifra costante e coerente con la particolarissima attitudine di Paolo Piccione a restituire ai lettori la cronaca famigliare, al pari di quella politica e giudiziaria, in una dimensione umana cui fanno agio la serenità d’animo e la semplicità.

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