Palazzo Mirto di Palermo | Le bellezze della casa-museo - Live Sicilia

Palazzo Mirto di Palermo | Le bellezze della casa-museo

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Tesori ritrovati
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Prestigiosa dimora storica di Palermo, nel quartiere arabo della Kalsa, Palazzo Mirto è uno dei pochi esempi di casa-museo pressoché intatta negli eccezionali arredi originali, a testimonianza dello stile di vita di una delle più note famiglie dell’aristocrazia dell’isola, i Filangieri. Essi vantavano, come leggendario capostipite del casato, il nobile cavaliere normanno Angerio D’Arnes, venuto nel Mezzogiorno d’Italia al seguito di Roberto il Guiscardo. Egli ebbe quattro figli che, in onore delle valorose imprese paterne, ostentarono l’appellativo di “Filii Angerii”.

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L’edificio, situato dietro piazza Marina, tra le vie Merlo e Lungarini, si trova al centro dell’antico quartiere arabo della Kalsa, luogo prescelto dalla nobiltà, per le residenze, fin dal Medioevo. Il palazzo è il risultato di trasformazioni ed ampliamenti intorno ad un nucleo originario medievale, presumibilmente appartenuto ad un’altra famiglia, i Resolmini, di origine pisana, come testimoniato da due bifore in stile Chiaramontano inglobate nell’edificio. Nel 1594, per il matrimonio tra Pietro Filangieri e Francesca De Spuches, divenne residenza della Famiglia Lanza Filangeri, conti di San Marco e principi di Mirto. La grande casa fu abitata dai discendenti dei proprietari fino al 1982, quando Donna Maria Concetta Lanza Filangeri di Mirto decise di donarla alla Regione Siciliana per seguire le volontà del fratello Stefano, come si legge nella targa sopra la scala d’ingresso, affinché fosse mantenuto nella sua integrità e aperto alla pubblica fruizione.

Il percorso di visita, si snoda dal piano nobile in una sequenza di ambienti sontuosamente arredati, con pareti impreziosite da rivestimenti in pannelli serici, arazzi, tendaggi e da dipinti murali e su tela. In questa teoria di saloni ritroviamo mobili, quadri, sculture, strumenti musicali e pregevoli collezioni dei vari settori di arte applicata: porcellane, maioliche, ceramiche siciliane, orologi, ventagli, vetri, armi, pezzi da presepe e bronzetti, a testimonianza del “modus vivendi” di una delle più illustri famiglie di Sicilia.

Nel primo ambiente, il vestibolo, sono da segnalare i busti clasicheggianti in maiolica della manifattura del barone di Malvica (fine XVIII sec. – inizi XIX sec.), nobile imprenditore fondatore di polo industriale ai piedi di Monreale, per la produzione di vasellame e terraglia. Alle pareti specchi con gli stemmi della casata e i ritratti di alcuni antenati, tra cui Antonio e Giacomo Fardella, baroni di San Lorenzo. Da qui si accede alla sala Novelli, il cui nome da una copia ottocentesca dell’autoritratto del celebre pittore monrealese Pietro Novelli, e alla sala Salvator Rosa in cui si ammirano alle pareti piccole vedute, dipinte secondo lo stile del pittore napoletano. Questi ambienti, arredati con mobili antichi, sono impreziositi da vetrine che custodiscono parte dell’ampia collezione di vetri di Murano del Cinquecento e porcellane di Meissen del ricco servizio di famiglia. Nelle stesse sono esposti anche i ventagli dipinti, accessori considerati indispensabili dalle dame del Settecento. Questi oggetti “apotropaici” (venivano regalati in occasione di fidanzamenti, matrimoni e nascite) svelavano, attraverso il loro corretto utilizzo, la nobile discendenza di una signora.

Da qui si accede ad un altro salotto dove è conservato un grande dipinto ottocentesco della “Battaglia di Cialdaran”, ritenuto l’unica testimonianza presente in Europa del celebre conflitto tra gli eserciti ottomano e persiano, avvenuto il 23 agosto del 1514, presso la città di Khoy (oggi Azerbaigian iraniano). Il conflitto, decisivo per la storia ottomana, persiana e curda ebbe risonanza in una Europa che percepiva il pericolo della crescente potenza dell’Impero turco. Ritrarre due eserciti islamici rappresenta un fatto del tutto nuovo nella storia dell’arte italiana perché le tematiche pittoriche classiche narravano quasi esclusivamente gli scontri tra turchi e cristiani. La novità del soggetto induce gli studiosi ad attribuire tale opera ad un artista di origine nordica, probabilmente di area germanica.

La configurazione attuale della magione risale alla fine del Settecento e rispecchia la ristrutturazione voluta dal principe Bernardo, le cui gesta sono dipinte nell’affresco sulla volta del Salone del Baldacchino, “Gloria del Principe”, attribuito ad Elia Interguglielmi. In questa sala, che prende il nome dall’arazzo con baldacchino posto al centro dell’ambiente, e raffigurante l’espugnazione della città persiana di Ariamaze per mano di Alessandro Magno, il principe svolgeva le sue funzioni ufficiali e veniva celebrata visivamente la sua appartenenza ad un casato di grande prestigio. Le pareti sono interamente rivestite da pannelli ricamati a “pittoresco”, con scene della Gerusalemme liberata: il ciclo più ampio mai realizzato a ricamo di fattura siciliana. Sul fortepiano (un raro strumento antenato settecentesco del pianoforte) sono esposte delle fotografie incorniciate con gli ultimi discendenti dei principi di Mirto.

Il salone si apre su un piccolo terrazzo arredato da una bellissima fontana “rocaille”, interamente realizzata con conchiglie. Ai lati della struttura si ammirano due voliere e quella di destra nasconde il passaggio segreto che dà accesso direttamente all’ingresso, via di fuga per chi non desiderava essere visto. Su questo ambiente, dalla fresca atmosfera, si affaccia l’alcova di Diana cacciatrice, rappresentata nella statua posta nella nicchia centrale. La nicchia, girevole, cela un altro passaggio segreto che questa volta conduce ad un’intercapedine ricavata nella volta del soffitto. Tale passaggio consentiva ai signori del palazzo di ascoltare, non visti, le conversazioni svolte nell’alcova.

La visita al palazzo prosegue attraverso pregevoli ambienti: il piccolo “fumoir” con le pareti ricoperte in cuoio di Cordova, la stanza “cinese” rivestita di sete dipinte e arredata con mobili in lacca nera realizzati in Sicilia, il salone degli Arazzi e la sala da pranzo, un tempo antica sala d’armi, dove i signori deponevano le armature entrando nella dimora. Questa stanza, tra le più grandi del palazzo, conserva parte del servizio di famiglia in porcellana di Meissen che consiste in oltre 400 pezzi. Questo servizio, di grande pregio, ha la particolarità di rappresentare decorazioni con tutti gli esemplari ornitologici conosciuti in Europa nel Settecento.

Il secondo piano presenta una serie di stanze e saloni riservati ad una cerchia più ristretta di amici e alla vita privata della famiglia. Il percorso si conclude, infine, al piano terra del palazzo, dove erano sistemati alcuni dei servizi, tra cui le scuderie, le rimesse per le carrozze, i magazzini e le cucine (provviste di montacarichi per far arrivare le pietanze, ancora calde, ai piani superiori). L’ambiente più affascinante è l’ex “Cavallerizza”, un lungo corridoio con volte a crociera, scandito da colonne in marmo grigio, dove si trovano ancora i box per i cavalli corredati di eleganti mangiatoie in ferro battuto. In fondo alla sala, un’imponente fontana in marmo del XVI secolo, usata nel tempo come abbeveratoio per i cavalli, porta lo stemma dei De Spuches, a testimonianza del più antico palazzo inglobato nell’attuale.


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