L'incidente, il lutto e quel sogno | L'addio a Roberto, Rosa e Miriam - Live Sicilia

L’incidente, il lutto e quel sogno | L’addio a Roberto, Rosa e Miriam

La commozione di tutti per la famiglia distrutta in un incidente sulla Palermo-Mazara.

PALERMO- L’uomo buono che ha perso un figlio ora piange accanto a Luca, un figlio che ha perso tutto. “Conoscevo Roberto e la sua splendida famiglia. Loro mi hanno confortato per la morte del mio ragazzo: erano al funerale. Adesso io sono qui per dirgli addio”. Una storia di dolore raggruma altre storie di dolore. Ognuno fa i conti con la sua perdita, con le sue mutilazioni, mentre si sforza di consolare.

Roberto Orestano, la moglie, Rosa Parrinello, e la figlia Miriam, sono morti in in un incidente stradale sulla Palermo-Mazara. Nella chiesa evangelica di piazza Durante, a due passi dal Policlinico, si celebrano i funerali. La famiglia del sorriso – così li ricordano per bontà e gentilezza – era cresciuta nella comunità di via dei Cantieri. Il pastore Pietro Zanca che li commemora li conosceva bene. In prima fila, c’è Luca – bersaglio di carezze che non sanano e di un amore impotente – uno dei due figli sopravvissuti. L’altro è ricoverato a Villa Sofia, in condizioni stazionarie.

Se togli per un attimo il dolore, trovi il resto. Ti viene incontro una sostanza che il lutto può nascondere, non cancellare. Rosa era una donna forte: “La chiamavo la parrina”, dice il pastore Zanca. Qualche giorno prima dello schianto aveva sognato tutto. Una bomba che colpisce la macchina in viaggio. Un abisso. Il buio.

Sentirlo raccontare adesso colora quel sogno con le tinte di una premonizione. Ma forse era solo un sogno. Miriam la chiamavano Mimì, un suono più tenero, più musicale, come uno zampillo: era una bambina amatissima. Aveva diciotto anni e stava crescendo, con le amicizie, con i selfie, con gli scherzi. Da ogni sua immagine, anche nella foto posata sulla bara bianca, si irradia un chiarore innocente.

Roberto era un uomo sereno, che amava cantare. “Avevamo avuto qualche differenza di vedute – narra il pastore – ma poi ci eravamo abbracciati. E io vi invito a fare lo stesso. Se c’è qualcuno con cui avete dei dissapori, dategli la mano. Perché è accaduto quello che sappiamo? Io non lo so. Mi chiamo Piero e ho tre figli. Soffro come voi. Ma non è il momento di interrogarci sul perché, dobbiamo stare in silenzio davanti al Signore”.

E’ uno strano tipo di guida Pietro Zanca, non ha risposte per tutto, non si sente superiore a nessuno. Anzi: “Sono una persona fragile ma mi intendo di disperazione. Se ci sono disperati, portateli a me”. Ecco perché le sue parole colpiscono. Non vengono da un pulpito, ma da una debolezza condivisa che non ha paura di mostrarsi.

Nella sala di piazza Durante la calca è ordinata. Il canto delle donne velate che compongono il coro muove a una naturale commozione. Si canta e si ripete ‘amen’ nella piccola chiesa evangelica, dove la gente non la smette di abbracciarsi con un’intimità che parrebbe ostinazione, ma che tratteggia le forme di un sentiero verso la speranza. Le comunità di Palermo si sono radunate per le esequie, ognuna con i suoi pastori e con i suoi fedeli. Ognuno con la sua preghiera, alternata ai canti.

Con un ‘amen’ quasi gridato finisce la funzione. Si torna a casa, col bagaglio personale di lacrime, sparse tra ieri e oggi. Luca si alza in piedi per l’ultimo bacio ai suoi cari. Cammina a fatica, sorretto dagli altri. Lui è il figlio che ha perso tutto. Tutto, a parte l’amore.


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