Da capo mandamento a ristoratore | Giovanni Bosco, una vita ai raggi X - Live Sicilia

Da capo mandamento a ristoratore | Giovanni Bosco, una vita ai raggi X

Piazza Pietro Micca a Boccadifalco

Con il sequestro di beni si torna a parlare del boss di Boccadifalco a 10 anni dal quel primo summit

Giovanni Bosco

PALERMO – Escono fuori dall’obiettivo delle inchieste solo apparentemente. Sui vecchi boss in realtà non si smette mai di indagare. E così un decennio dopo le prime intercettazioni sul si conto si torna a parlare di Giovanni Bosco, che ha scontato una condanna per esser stato il capomandamento di Boccadifalco.

Destò sorpresa che nel 2008 saltasse fuori il suo nome dai nastri magnetici delle microspie dei carabinieri. Nella stagione della riorganizzazione di Cosa nostra di lui parlavano Sandro Capizzi e Giovanni Adelfio di Villagrazia.

Benedetto Capizzi, boss ergastolano scarcerato per problemi di salute, si era messo in testa di convocare la commissione provinciale di Cosa nostra, ferma dal giorno dell’arresto di Riina. Non tutti erano d’accordo. Tra chi diceva no c’era Gaetano Lo Presti, boss di Porta Nuova.

Il giovane Capizzi e Adelfio avevano chiesto al vecchio capomafia di Bagheria Pino Scaduto una mano per organizzare una riunione. Vi dovevano partecipare i pezzi grossi della mafia di allora, molti dei quali oggi sono di nuovo liberi: Lo Presti e Massimo Mulè per Palermo Centro, Gianni Nicchi e Giuseppe Calvaruso per Pagliarelli, l’architetto Giuseppe Liga e Pinuzzo Lo Verde per San Lorenzo, Tonino Lo Nigro e Ludovico Sansone per il mandamento di Brancaccio, Salvatore Lo Cicero per Resuttana.

In quella lista andava inserito anche Giovanni Bosco. “Boccadifalco chi c’è? – si chiedeva il giovane Capizzi – Giovanni Bosco. Chi lo ha messo? Non l’ho messo né io, né vossia e neanche mio padre”. Qualcuno però lo aveva nominato: “Lo ha lasciato Enzo Greco che allora stava bene… (era il vecchio capomafia di Passo di Rigano, ndr).

Giovanni Bosco è stato arrestato e condannato. Nel frattempo è iniziato il lavori dei finanzieri della Polizia tributaria. È una questione numerica prima ancora che mafiosa. Nessuno può spendere più soldi di quanti ne dichiari al fisco. La sproporzione è uno dei capisaldi delle misure di prevenzione.

Nel 1994 Bosco si è lanciato nel settore della ristorazione. I finanzieri hanno, però, scoperto che in quell’anno non aveva percepito alcun reddito che giustificasse l’investimento. Gli unici soldi del bilancio familiare – 5.699 euro – arrivavano dalla moglie. Da qui quella che il Tribunale definisce “evidente sproporzione rispetto all’investimento effettuato”. Nel 2013 Bosco ha donato l’attività al figlio Antonino che ha aperto a Boccadifalco “La cantina dei Sapori” e accanto una pizzeria-polleria. Anche lui non ha dichiarato redditi sufficienti. In quell’anno addirittura il bilancio familiare aveva una perdita di 8 mila euro. Stesso ragionamento per le case e i magazzini sequestrati in piazza Pietro Micca e via Umberto Maddalena. Al registro immobiliare risulta nel 2005 una trascrizione a favore della moglie. Una compravendita da 13.500 euro, duemila euro in meno del reddito dichiarato. Senza contare i dieci mila euro spesi per comprare una macchina, modello Peugeot 207.


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