"Quel bimbo ha rischiato la vita" | L'orrore nelle parole del giudice - Live Sicilia

“Quel bimbo ha rischiato la vita” | L’orrore nelle parole del giudice

Fu portato all'Ospedale dei bambini, in condizioni gravi.

PALERMO – “E’ fuori discussione che l’evidente sproporzione fisica tra un uomo adulto e un neonato incapace di difendersi ha permesso al padre di esercitare e perpetrare a più riprese atti violenti, consistiti in torsioni degli arti e repentini scuotimenti del bambino, che ne hanno ripetutamente messo a serio rischio la vita e l’incolumità”. Lo dice il gup Nicola Aiello nelle motivazioni della sentenza con la quale ha condannato 10 anni e 4 anni e 8 mesi, per tentato omicidio, il padre e la madre di un neonato che, a Ferragosto del 2013, fu portato d’urgenza all’Ospedale dei Bambini con fratture multiple al cranio, alle braccia, alla clavicola.

I genitori dissero che era rimasto ferito cadendo mentre tentava di gattonare. Ma i medici sostennero subito che il piccolo fosse stato picchiato. Il pm aveva chiesto 8 anni per il padre e 4 e 8 mesi per la madre. Una perizia, disposta dal gup, diede ragione ai medici. Secondo i consulenti le lesioni, che hanno determinato la sordità del bambino e difetti di vista, hanno una genesi traumatica, etero indotta e violenta. Di diverso avviso gli esami dei periti della difesa secondo i quali le lesioni sarebbero dovute soprattutto a traumi del parto. Proprio sulle perizie si giocava gran parte del processo ai genitori del piccolo, che hanno scelto il rito abbreviato. Il bimbo, che oggi ha 4 anni, è stato affidato dal tribunale per i minorenni al nonno paterno dopo oltre tre anni trascorsi in una casa famiglia.

“La violenza operata su un bambino indifeso che non può opporre alcuna resistenza se non segnalare il proprio malessere nelle forme di un pianto insistente – prosegue il giudice – porta a ritenere la predetta violenza idonea a cagionare la morte del piccolo. L’intenzione di uccidere è desumibile da elementi fattuali”. Il padre “aveva modo – scrive il giudice – di compiere i propri atti violenti e diretti a perseguire il proprio fine criminoso. Atti violenti e meschini che denotano una perversità e un sadismo che manifestano in modo inequivocabile le proprie intenzioni criminose di arrecare una sofferenza costante e dilazionata nel tempo sul corpo del figlio”. (ANSA).

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