Graviano spegne le telecamere| Restano solo le parole in libertà - Live Sicilia

Graviano spegne le telecamere| Restano solo le parole in libertà

Giuseppe Graviano

Il boss si avvale della facoltà di non rispondere. Restano agli atti le sue intercettazioni.

PALERMO – Le telecamere degli operatori sono rimaste accese una manciata di minuti. Da tempo non se ne vedevano così tante al bunker dell’Ucciardone di Palermo. Nutrita la rappresentanza dei giornalisti per seguire il processo sulla trattativa Stato-mafia.

L'”evento” era la deposizione di Giuseppe Graviano. Il boss di Brancaccio spegne subito l’interesse avvalendosi della facoltà di non rispendere. Tutto come previsto. Delusa anche l’aspettativa in subordine e cioè che, come è avvenuto in passato, il capomafia stragista rilasciasse almeno uno straccio di dichiarazione spontanea. Niente di niente. Il collegamento con la saletta del carcere di Ascoli Piceno viene subito spento.

Graviano è indagato per lo stesso reato del processo che si sta celebrando in Corte d’assise. Tutto nasce dall’intercettazione delle sue conversazioni carcerarie. Quelle in cui tirava in ballo Silvio Berlusconi, l’uomo che, a suo dire, avrebbe voluto le stragi di mafia. Ci voleva “una bella cosa”, le bombe, per assecondare la discesa politica del Cavaliere.

I pubblici ministeri Vittorio Teresi, Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, forti della consulenza di un perito, si dicono certi che Graviano parlasse di Berlusconi. Un consulente incaricato dall’avvocato Giuseppe Di Peri, difensore di Marcello Dell’Utri, sostiene che Graviano disse “bravissimo” e non Berlusca”. E non ci sarebbe neppure certezza che in un altro passaggio avesse usato la lettera “B” per indicare Berlusconi, ma “mi voli fari parlari di tutti i cosi di mi”. “Mi”, dunque, e non “B”. La valutazione del perito nominato dalla Corte si attesta sulla stessa linea dell’accusa. E poi ci sono i passaggio in cui Graviano avrebbe fatto riferimento a Berlusconi sottintendendo il suo cognome. Lo scontro fa parte della dialettica processuale.

Graviano era stato citato soprattutto alla luce di un suo precedente interrogatorio. Dopo essere stato intercettato per un anno intero mentre passeggiava con il detenuto Giuseppe Adinolfi i pm andarono in carcere per incontrarlo. Anche allora si avvalse “della facoltà di non rispondere a causa delle mie condizioni di salute che oggi non mi consentono di poter sostenere un interrogatorio così importante ed anche a causa del mio stato psicologico derivante dalle condizioni carcerarie che mi trovo costretto a vivere”.

Poi, quella frase che era sembrata un’apertura: “… quando sarò in condizioni sarò io stesso a cercarvi e a chiarire alcune cose che mi avete detto”. Ed invece stamani è arrivata la chiusura totale. Nel frattempo le sue intercettazioni sono entrate nel processo. Resta da capire il peso che hanno e quello che gli verrà riconosciuto dai giudici togati e popolari. L’enigma ruota attorno alla registrazione del 2 febbraio 2016. Diciannove giorni dopo che gli investigatori della Dia avevano acceso le microspie nel carcere di Ascoli Piceno, Giuseppe Graviano se la prendeva con “scarpa lucida”. È il soprannome affibbiato a un agente della polizia penitenziaria.

“Scarpa lucida”, così raccontava Graviano al camorrista Adinfolfi, era stato particolarmente impegnato in quei giorni. Gli operai avevano passato i fili del nuovo impianto di video sorveglianza. Un impianto all’avanguardia che registrava anche l’audio. Non come quello vecchio che catturava solo le immagini. Insomma, “sono degli spioni”, diceva Graviano ad Adinolfi: “… forse non mi sono spiegato, un mese fa hanno messo queste del primo passeggio, mentre quelle degli altri due passeggi non erano pronte”.

Eppure Graviano, nonostante dalle sue parole emergesse la certezza che lo stessero intercettando, nei dodici mesi successivi ha consegnato agli investigatori trentadue lunghe registrazioni riversate nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Migliaia e migliaia di pagine che riaprono un fronte investigativo, quello su Berlusconi, battuto per anni senza approdare a nulla. Parole in libertà di cui è difficile intravedere una valenza probatoria? No, secondo l’accusa, per la quale il boss non poteva immaginare che lo spiassero anche in altri luoghi del penitenziario.

Per conoscere il peso che la Corte attribuirà alle intercettazioni bisognerà aspettare la fine del processo. L’istruttoria dibattimentale sta per concludere. La requisitoria potrebbe iniziare a fine novembre. Poi le arringhe dei difensori. Prima dell’estate prossima la sentenza.

 

 


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