L'omicidio di Angelo Santapaola |Dalle intercettazioni alla sentenza - Live Sicilia

L’omicidio di Angelo Santapaola |Dalle intercettazioni alla sentenza

Un delitto di cui si parla ancora tra i boss di Cosa nostra. Intanto è arrivato l'ergastolo (definitivo) per Enzo Aiello.

CATANIA – L’omicidio di Angelo Santapaola serve ai nuovi padrini come monito per i clan rivali e anche per le cosche alleate. Antonio Tomaselli, il delfino degli Ercolano, cita la morte del cugino del capomafia Benedetto come esempio per risolvere le tensioni tra Santapaola e Mazzei. Parla chiaro il reggente: “Questi sono gli esempi che abbiamo dato per gli sbagli che ha fatto”. E se con i Carcagnusi sono bastati gli avvertimenti per appianare le questioni calde, dieci anni fa le pistole invece hanno fatto fuoco. Angelo Santapaola è stato ucciso insieme al suo guardaspalle Nicola Sedici. Ammazzati in un macello dismesso della Catania-Gela.

Intanto si è chiuso proprio in questo periodo il processo sul duplice delitto. È di pochi giorni fa la notizia della sentenza della Cassazione di Catania che ha confermato l’ergastolo per il boss Vincenzo Aiello. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’avvocato Maurizio Punturieri che ha impugnato la sentenza di secondo grado della Corte d’Assise d’Appello di Catania. Nel lungo ricorso il legale sviscera punto per punto le motivazioni dei giudici d’appello catanesi: analizza la perizia sulle celle d’aggancio del cellulare di Aiello il giorno dell’omicidio, esamina in modo certosino le dichiarazioni del teste chiave, il collaboratore Santo La Causa, e anche i nuovi pentiti che sono stati ascoltati nel corso del dibattimento in appello (come Fabrizio Nizza), e argomenta sul coinvolgimento di Aiello sia nella fase progettuale dell’omicidio che nella fase esecutiva. Inoltre il legale evidenzia come “l’omicidio si verificò, per stessa ammissione di La Causa, per un errore”. Orazio Magrì avrebbe, secondo La Causa, frainteso un suo gesto e avrebbe sparato contro Nicola Sedici.

Le indagini sul duplice omicidio erano rimaste impantanate per alcuni anni: i cadaveri (irriconoscibili) furono trovati in un casolare abbandonato a Ramacca. Per il riconoscimento furono decisive le fedi nuziali con incisi i nomi delle mogli delle vittime. A dare una svolta all’inchiesta furono appunto le rivelazioni del collaboratore di giustizia Santo La Causa che portò i carabinieri sul luogo dell’omicidio.

Due vicende giudiziarie che si sono incrociate a livello temporale, ma che aiutano a dipingere il nuovo modus operandi di Cosa nostra. Boss più “diplomatici”, come Antonio Tomaselli, finito in gattabuia poche settimane fa, rispetto a uomini d’onore come Orazio Magrì, Daniele Nizza e Benedetto Cocimano ormai rinchiusi al 41 bis. Sono gli stessi gregari dei Santapaola ad ammetterlo in un’altra intercettazione dell’inchiesta Chaos: “Se c’era Daniele era morto u pannitteri, lo infornava nella camera a gas”.

 

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