Anonimi e vigliacchi | Il catalogo è questo - Live Sicilia

Anonimi e vigliacchi | Il catalogo è questo

L'anonimo sta alla perfidia come la mela sta a Biancaneve.

Dietro il buio c’è sempre un orco. Dietro una mancata firma c’è sempre un codardo. Sebbene il nostro codice di procedura penale preveda il divieto per i giudici di dare fiato a querele, esposti o denunce anonime, è costume ormai acclarato che, poco alla volta, questo principio, un tempo molto rigoroso, cominci a trovare diverse eccezioni.

Non starò qui a parlare dell’opportunità o meno, della discrezionalità del magistrato di procedere in virtù di una lettera anonima. Voglio solo limitarmi a sottolineare le sofferenze che i veleni gratuiti e senza firma procurano non solo alle vittime, ma anche allo stesso scrittore, occulto e vigliacco, che tira la pietra e puntualmente nasconde la mano. L’anonimo sta alla perfidia come la mela sta a Biancaneve. Dietro il gesto meschino di scrivere e non firmarsi c’è tutta la crudeltà di chi scientemente vuole fare del male. C’è premeditazione e violenza. Poche ma sentite parole accompagnano solitamente lo stupore e la rabbia del poverocristo che scopre all’improvviso di essere diventato l’oggetto di tali e tante “affettuose” attenzioni. Le avrà meritate? Forse sì, probabilmente no. In ogni caso mi piace pensare che la spinta propulsiva di un gesto tanto miserabile, nella stragrande maggioranza dei casi, sia solo una: l’invidia.

Sull’invidia tanto si è scritto e tanto si è detto eppure rimane un evergreen, un sentimento orrido e eterno, rocca inespugnabile e temuta. Nessun invidioso ammetterebbe mai la propria invidia eppure dietro quella mancata firma c’è la firma di se stesso. Chi rifiuta per codardia il proprio nome, rifiuta Dio, ci insegnavano nell’ora del catechismo. Si erge a giustiziere indossando un guanto nero affinché la propria mano possa essere negata ai suoi stessi occhi. E poi aspetta, silenzioso e tremante, chino su se stesso, piegato dal peso di una coscienza non proprio limpida, che il suo disegno si trasformi in verità.

Che Dio ci guardi dai sermoni moralisteggianti; la morale del resto attiene alla formazione culturale di ciascuno di noi ed in quanto tale è strettamente soggettiva. Eppure non è difficile notare, con disappunto e tristezza, che il diritto di parola, ha consentito e consente all’infinito mondo del web di ergersi, sovrano e implacabile, contro tutto e contro tutti. La tutela ingiusta dell’anonimato, di fatto concessa dai social, regala ad ognuno la possibilità di avere voce in quel vasto mondo.

Ne vengono fuori ogni giorno guerre mediatiche il cui squallore rasenta il parossismo e dove l’unico elemento bizzarro e impietoso è rappresentato da una quantità sorprendente di errori grammaticali. L’indignazione degli indignati che trovano indegno tutto è diventata la regola. E ben venga la critica, qualora fosse rispettosa, se dietro avesse la faccia vera e rilassata di un nome.

Ma, ahimé, in questa guerra di povertà, combattuta dietro una tastiera così calda e nevrotica da ricordare la trincea, si nasconde Nessuno. Non l’astuto Ulisse. Semplicemente un signor nessuno, uno sventurato privo della dignità del coraggio.

Ma non sono semplicemente i social a tenere alta la lista dei codardi. Ci sono siti e giornaletti, sparsi anche negli angoli più oscuri del bel paese, che vantano un altro sconcertante primato. Succede spesso, in molte camere oscure del web, che quando il giustizialista di turno decide di scagliarsi con un attacco anonimo contro un suo personalissimo nemico trova immediato rifugio come un bambino sotto la comoda gonnellina della “redazione”.

Vero è, ne risponde il direttore mi direte voi; ma il giornalista, colui che ha partorito dalla propria penna la solenne verità, perché si nasconde? Io che mi ostino e mi rallegro di vivere in terra di Sicilia sono tentata di credere, quando mi trovo a leggere simili scempiaggini, che la manina anonima possa essersi ispirata alle parole segnate da Gesualdo Bufalino sulle ragioni dello scrivere: “macchiarsi le mani di inchiostro è come macchiarsele un poco di sangue, uno scrittore non è mai innocente”. Ma accostare il livore di un anonimo allo splendore di una pagina scritta da Bufalino sarebbe a dir poco un’operazione azzardata, se non addirittura blasfema. Per chi si muove con il suo pugnaletto nel buio di un sito forse sarebbe più appropriato trovare scampo in un’altra annotazione del grande scrittore siciliano: “…si scrive per battezzare le cose, chi le nomina le possiede. Esiste solo chi ha un nome, l’innominato è nessuno”

 

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