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LiveSicilia.it / Archivio / Una lettura laica e poetica di Maria di Nazareth

Una lettura laica e poetica
di Maria di Nazareth

La proposta teatrale di Giacomo Pilati

Uomini e dei
di Augusto Cavadi
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Esiste certamente il mondo naturale percepibile e misurabile. Molti popoli e molte singole personalità (da Platone a Wittgenstein) hanno ritenuto, e ritengono, che esso sia reale, ma non sia l’intera realtà. Suppongono, infatti, che il mondo naturale sia sostenuto e animato da un indefinibile mondo super-naturale (nel senso di iper- naturale, non di sopra-naturale) che qualificano come divino. Questo mondo ‘naturalissimo’ – Natura della natura (Generatrice della nostra genitrice) – viene faticosamente interpretato dall’umanità attraverso varie “cifre” (Karl Jaspers) o “figure”.

Vari ricercatori ritengono che una delle prime “cifre” o “figure” del divino sia stata la Grande Madre. Fra il 20.000 e il 5.000 a.C. le “ immagini del sacro”, in ogni parte del pianeta, rappresentano una donna incinta, simbolo della fertilità. Il “matrimonio sacro”, rito erotico per celebrare l’inizio dell’anno nuovo, in epoca neolitica sembra essere stato il rito più importante. Negli anni dal 4.300 al 2.800 a. C. si mantiene il culto della femminilità, ma la dimensione del piacere – specie negli ambienti dei pastori – si eclissa a favore della funzione procreativa. In questi secoli, decisivi nella storia dell’umanità, le tribù di pastori e guerrieri invasero e conquistarono i pacifici villaggi agricoli, uccidendo i maschi e sequestrando le donne in età fertile. La loro devozione era rivolta in misura preponderante a figure maschili di guerrieri potenti e di giudici terribili: la Grande Madre Terra si trasformò nella sposa subordinata degli dei maschili invasori, per poi spezzettarsi in molte divinità femminili minori (come le dee del Pantheon greco e romano).

Arriviamo così, passando per l’età del bronzo e del ferro, all’eclisse della consapevolezza di essere figli della Terra e alla fede esclusiva in un Dio Padre, considerato l’Essere supremo. Quando questo Padre perde la relazione coniugale con una Donna, sia pur subordinata, siamo al monoteismo delle tre grandi religioni attuali (Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo). Tuttavia la presenza della Grande Madre non è stata completamente eliminata: nel mondo cattolico è stata rimpiazzata dalla figura di Maria, la Madre di Cristo. L’operazione non è avvenuta a costo zero. Alla giovane madre palestinese i vangeli canonici dedicano pochi e sobri accenni (e sono quasi sempre passi in cui il figlio ne ha fermamente limitato l’influenza sulle proprie scelte). Ma, sin dai primi secoli, man mano che viene ingigantita la figura di Gesù – da profeta nomade a seconda persona della Trinità – anche la figura di Maria perde i suoi caratteri terreni, carnali, mondani: da donna, spiazzata da un figlio sempre più originale e anticonformista, diventa la Madonna che nasce immacolata e partorisce senza perdere la verginità né psicologica ​ né fisica. A lei, venerata come Madre di Dio secondo il Concilio di Efeso del 431, il santo Bernardo della Divina Commedia può rivolgere il saluto paradossale: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”.

Ogni tanto qualche letterato intuisce che bisogna spezzare la campana di vetro in cui Maria di Nazareth è stata imprigionata se si vuole avere un’idea più vera della sua personalità (che, a giudicare dalla statura morale del figliuolo, non doveva essere di scarso rilievo umano). E’ il caso di Un inutile amore. La passione di Maria , monologo teatrale di Giacomo Pilati (Di Girolamo, Trapani 2018, pp. 63, euro 10,00) : testo intensamente poetico nel quale la Madonna viene riletta, con occhi consapevolmente laici, soprattutto al momento del concepimento del bambino e al momento della crocifissione. L’annunciazione viene immaginata come l’apparizione dell’ombra di un giovane dagli “occhi rubini e trasparenti”: un’ombra che si adagia sul corpo della giovane Maria, lo trafigge con “brividi di un infinito piacere” per poi svanire “tra le brume dell’alba”.

Di questa esperienza onirica la madre si ricorda quando vede, un trentennio dopo, le ultime ore di sofferenza del figlio ed esplode in lamenti che rasentano la bestemmia:” Mio figlio. La mia carne, e tu Signore me lo hai rubato. Me lo hai messo nel ventre e ora te lo riprendi. Senza chiedermi niente. Avrei dovuto negartelo. La fede non mi ripaga di questo strazio. Lui è il mio amore. L’unico vero amore”. Al di là dello stile letterario, certamente raffinato, il testo dello scrittore siciliano solleva domande teologiche inquietanti dalle ricadute antropologiche e politiche indubitabili: infatti è interrogando criticamente i “modelli” femminili ideali che uomini e donne possono cooperare nel modificare la condizione effettiva delle donne lungo la storia. Anche nel nostro tempo.

Pubblicato il 29 Ottobre 2018, 18:40
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