PALERMO – A volte i boss ritornano. Anzi troppo spesso, dopo la scarcerazione, si riprendono il potere di un tempo. Ci sono casi, però, in cui il passato che si rifà presente fa ancora più male. Specie se ha il volto di uno dei carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo.
“Ritorno al potere”
Gli agenti della Direzione investigativa antimafia e i carabinieri del comando provinciale di Trapani hanno arrestato Giuseppe Costa, di Custonaci. Il giudice per le indagini preliminari ha accolto la ricostruzione del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Gianluca De Leo e Calogero Ferarra. Secondo i pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Costa si sarebbe dato un gran da fare durante la campagna elettorale per le elezioni regionali del 2017.
Legato ai capimafia trapanesi Pietro e Francesco Virga, nel 2017 Costa è uscito dal carcere dove era stato rinchiuso nel 1997. Vent’anni di reclusione per aver partecipato ad una delle vicende simbolo della barbarie di Cosa Nostra.
Il piccolo Giuseppe Di Matteo fu rapito, strangolato e il corpo sciolto nell’acido a soli 13 anni per tentare di zittire il padre Santino, divenuto collaboratore di giustizia.
Il casolare dell’orrore
Fu lo zio della moglie di Costa, Vito Mazzara, a prendere accordi con Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca. Costa mise a disposizione la sua casa nella frazione di Purgatorio come luogo di prigionia del bambino. Il piccolo vi arrivò incappucciato, dentro il portabagagli e rinchiuso nella cella che Costa aveva costruito con le sue mani. L’immobile ora è finito sotto sequestro. Il calvario del piccolo Di Matteo – 779 giorni di prigionia – fece tappa anche in terra trapanese, prima che per volere di Giovanni Brusca gli stringessero una corda al collo.
“Ti portiamo da tuo padre”, dissero a Giuseppe raggiunto in un maneggio il 23 novembre 1993. L’11 gennaio del 1996 il tragico epilogo. Enzo Salvatore Brusca, fratello di Giovanni, lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò.
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Il presente ci dice che nel 2017 Costa si sarebbe rimesso subito all’opera, deciso, sostiene l’accusa, a fare valere il suo peso mafioso. Dopo vent’anni di carcere vissuti in silenzio si è guadagnato il rispetto di tutti. Si muoveva molto a Trapani, dove era particolarmente interessato alle elezioni regionale del 2017, ma aveva anche solidi rapporti con i boss palermitani.
Le nuove accuse
Ecco le contestazioni: associazione a delinquere di stampo mafioso, aggiudicazione di appalti, speculazioni immobiliari, risoluzione di dissidi tra privati, intimidazioni, divisione dei proventi di denaro illecito. Costa avrebbe pure controllato gli interessi di Cosa Nostra in un impianto di Calcestruzzi.
A fine novembre scorso è giunto a sentenza il primo troncone dell’inchiesta denominata Scrigno, in cui emergeva la figura di Costa. Tante condanne, a cominciare da quelle dei fratelli Virga, e quattro assoluzioni.
Nell’organigramma della famiglia mafiosa le indagini dei carabinieri piazzarono anche l’ex deputato regionale Paolo Ruggirello che è stato rinviato a giudizio ma ha scelto il rito ordinario.
Francesco e Pietro Virga, figli di Vincenzo, storico luogotenente di Matteo Messina Denaro, all’ergastolo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sono stati condannati a 8 anni ciascuno di carcere con l’accusa di avere retto il mandamento mafioso. Per loro la pena è stata decisa in continuazione con le precedenti condanne del 2002.
Le Regioni del 2017
Nello stesso processo erano imputati Antonino D’Aguanno (condannato a 3 anni e 4 mesi) e la moglie Anna Maria Inferrera (assolta). Quest’ultima, candidata dell’Udc nel 2017, già assessore comunale a Trapani, era imputata per voto di scambio politico mafioso. Il giudice ha riconosciuto tutti gli scambi elettorali sporchi, compreso quello che la riguardava. Solo che la candidata non sarebbe stata a conoscenza dell’accordo fra il marito, D’Aguanno, e i Virga che per tale fatto sono stati tutti e tre condannati.
Incontri riservati
Il 3 novembre 2017 Costa avrebbe partecipato a un incontro riservato con D’Aguanno. Incontro di cui avrebbe discusso all’indomani con Pietro Virga, affidando il compito di fare da tramite a Paolo Magro, il quale, durante gli anni della detenzione di Costa, si è quasi sempre occupato della madre del detenuto.
Sempre il 4 novembre 2017 Stefano La Rocca, organizzatore del precedente incontro, chiamava D’Aguanno e lo invitava a contattare Mario Mazzara, pure lui di Custonaci, che si stava impegnando per la campagna elettorale.
Lo stesso D’Aguanno era molto fiducioso. Il giorno dopo le elezioni, il 6 novembre 2017, Giuseppe Costa chiedeva a un’amica: “Ieri sei andata a votare?”. Risposta: “Si vita mia, ho fatto come mi hai detto tu, stai tranquillo”. La corsa dell’Inferrera, nonostante i suoi presunti e imbarazzanti sponsor, fu un flop. Non arrivò neanche a 900 voti, ultima della sua lista.