Processo sul depistaggio Borsellino, un imputato: "Mai indagato sulla strage" - Live Sicilia

Processo sul depistaggio Borsellino, un imputato: “Mai indagato sulla strage”

Parla uno dei tre poliziotti sotto accusa
CALTANISSETTA
di
2 min di lettura

CALTANISSETTA – “Sono entrato nel gruppo Falcone-Borsellino nel dicembre del 1992 e ci sono rimasto fino a giugno 1995 quando sono stato trasferito alla sezione di polizia giudiziaria di Palermo. Io mi relazionavo con l’ispettore Ricerca e lui si relazionava con i funzionari. Non mi sono mai occupato della strage di via D’Amelio, ma solo di quella di Capaci. Non sono mai andato a Caltanissetta dai magistrati”. Lo ha detto Fabrizio Mattei uno dei tre poliziotti imputati nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che oggi sta rendendo esame nell’aula bunker di Caltanissetta.

Mattei, insieme ai colleghi Mario Bo e Michele Ribaudo, è accusato di calunnia aggravata dall’aver favorito cosa nostra. Secondo l’accusa i tre poliziotti avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sottoponendolo a minacce, maltrattamenti e pressioni psicologiche e costringendolo ad accusare dell’attentato persone a messo estranee. “A San Bartolomeo a Mare (località protetta in cui viveva Scarantino ndr) avevamo il compito della scorta alla famiglia, con assistenza alla moglie e ai bambini – ha continuato Mattei, rispondendo al pm Gabriele Paci – e a Scarantino quando andava a Genova. Per qualsiasi problema al di fuori del nostro servizio andavamo alla questura di Imperia”.

“Ci andavo ogni giorno – ha continuato Mattei visibilmente emozionato – mi facevo vedere, mi sembrava un atto doveroso quello di farsi vedere visto che eravamo in un’altra città. Da marzo a maggio del ’95 non sono più andato a San Bartolomeo a Mare”.

E ancora: “Vincenzo Scarantino ce l’aveva sempre con la vigilanza, soprattutto perché era geloso della moglie e sosteneva che gli agenti la guardassero. Lui parlava di altri problemi ma non di argomenti relativi alla collaborazione con la giustizia, cosa di cui con lui non ho mai parlato. Il nostro compito – ha specificato in merito al periodo in cui si trovava a San Bartolomeo a Mare – era scortare i familiari, la moglie e i figli e lui quando andava a Genova. Visto che era troppo geloso quando la moglie doveva uscire la lasciavamo uscire con la collega. Quando la moglie non c’era dovevamo rimanere con lui. Senza motivo non rimanevamo mai in casa. La nostra era una presenza saltuaria. Andavamo la mattina a prendere i bambini per portarli a scuola. Neanche entravamo”.

“Con noi Scarantino non parlava mai di telefonate. – aggiunge – Le nostre interlocuzioni erano legate ai problemi della vita quotidiana. A volte trovavo una scusa per vedere come stava la moglie, perché la picchiava ed ero preoccupato per lei e per i bambini. A parte questo non aveva con lui alcuna confidenza. Non era persona con cui si poteva averla”.
(ANSA).

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI