Ravanusa, il grido dopo il silenzio: 'Una tragedia assurda'

Ravanusa, il grido dopo il silenzio: ‘Una tragedia assurda’

I funerali delle vittime dell'esplosione. Il dolore e la rabbia.

Stavano cenando, erano sereni, qualcuno pensava al bambino che sarebbe nato e immaginava come sarebbe cambiata la vita, dopo un approdo nel mondo che non c’è mai stato. Stavano cenando ed è calato il buio in un quartiere di Ravanusa, dopo l’esplosione. E le vite sono state spazzate via. La vita di Pietro Carmina e Carmela Scibetta. La vita di Calogero Carmina, Giuseppe Carmina e Liliana Minacori. La vita di Angelo Carmina ed Enza Zagarrio. La vita di Selene Pagliarello, Giuseppe Carmina e Samuele che lei portava in grembo. Samuele è la decima vittima, come hanno ricordato in tanti. I sogni che avrebbe sognato, i sorrisi che avrebbe dato e preso, perfino le spine di ogni percorso umano erano già presenti nell’amore che lo aveva reso un dono.

Il corteo delle bare, dalle quattro del pomeriggio in poi, sfila verso la piazza Primo Maggio, davanti alla Chiesa madre, il luogo fissato per le esequie della vittime della sciagura. Si intravvedono le foto affisse su ogni feretro. Selene, con la sua dolcezza, che oggi avrebbe compiuto trent’anni, mentre il suo Samuele avrebbe avuto già due giorni. E sarebbe stato bello festeggiare insieme, trent’anni e pochi giorni dopo, la nascita di una madre e di un figlio.

“Dalle otto e mezza di sabato scorso si è fatto buio – dice l’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano mentre riprende la lettura, ricordando le vittime -. Si è fatto buio nella vita di Samuele che era già uno di noi. Si è fatto buio nelle comunità di Ravanusa e di Campobello, il paese di Giuseppe e di Selene. Si è fatto buio nell’intero Paese che ha seguito le fasi dell’ennesima tragedia che un maggiore senso di responsabilità e un controllo più attento, forse, avrebbero potuto evitare. La risposta voglio cercarla nelle fede”. Parla di “assurda tragedia”, il pastore che ha seguito, subito, da vicino, le lacrime della comunità. E aggiunge: “Sono vivi in colui che è la resurrezione e la vita”. E sono carezze, le uniche, su una piaga che grida dopo i silenzi e le preghiere della speranza.

Presenti le autorità: il presidente della Regione, Nello Musumeci, il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e il capo nazionale della Protezione civile Fabrizio Curcio, il prefetto di Agrigento Maria Rita Cocciufa. In elicottero, da Roma, è arrivato il prefetto, capo dipartimento dei vigili del fuoco, Laura Leo. Tantissime persone in piazza. I parenti, in prima fila, abbandonati sulle sedioline verdi, con le mani che accarezzano il legno funebre, come per trovare conforto. Adagiate a terra, le bare, con le foto che si muovono a un leggero vento.

E ci sono i soccorritori. Quelli che hanno scavato anche a mani nude. Quelli che non hanno dormito, né mangiato, né bevuto. Che sono stati insieme per sorreggere la speranza di tutti. Ora sono accasciati, con gli occhi arrossati. Ora non c’è più niente da fare, anche se si continua a scavare.

Stavano cenando ed è arrivata la notte. Il professore Pietro con il suo messaggio agli studenti. Calogero e suo figlio Giuseppe, trovati in garage perché lui doveva cambiare l’auto. Selene e Giuseppe trovati sul divano. Tutti sepolti dall’indicibile. E i giocattoli che Samuele non ha mai stretto fra le sue mani. E la faccia di sua madre che non ha mai visto. La voce del sindaco Carmelo D’Angelo si rompe, mentre legge il suo messaggio. Era stato lui a dare l’allarme per primo con una diretta Facebook: “La storia di questo paese è segnata per sempre. Ci auguriamo che venga stabilita la verità”. E’ una voce che piange: “Non dimenticheremo”. Parla anche la moglie di Giuseppe Carmina, il figlio del Calogero. E sono parole di coraggio e di strazio: “Le nostre bambine chiedono, ma mio marito è vivo, come tutti, in Cristo”.

Scende un’altra sera sul cuore di Ravanusa. I feretri procederanno verso i cimiteri di Ravanusa e Campobello di Licata. “Le tenebre non vinceranno”, mormora la sua preghiera l’arcivescovo. La preghiera di tutti. Ma come sembra sterminata e iniqua questa distesa di dolore.

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