Carini, droga: il napoletano, lo sporco e i colpi di pistola al cavallo

Carini, droga: il napoletano, lo sporco e il cavallo sparato

Scontro fra bande. Il raid in una stalla segnò la separazione fra due gruppi

PALERMO – L’uccisione di un purosangue segnò il massimo livello di tensione fra due bande di trafficanti di droga. Alla fine si spartirono l’eredità lasciata a Carini da Alessandro Bono, signore della droga condannato a 20 in in primo grado nel gennaio dello scorso anno. Uomo dei traffici illeciti, ma anche dei misteri. Assieme a Bono fu arrestato anche Giuseppe Mannino.

Dopo si sarebbero fatti avanti Andrea Giambanco e Giuseppe Mannino (omonimo del primo), fra i 17 arrestati nel blitz dei carabinieri della scorsa notte. Ben presto “il napoletano” e “lo sporco”, questi sono i loro rispettivi soprannomi, arrivarono ai ferri corti. Giambanco considerava Mannino responsabile del furto di un chilo e 200 grammi di cocaina spariti dall’abitazione di un suo uomo.

La notte del 17 luglio si verifica un raid in una stalla a Torretta. Un cavallo viene ucciso, un altro ferito alle zampe a colpi di pistola. L’animale morto, un purosangue di nome Desert, apparteneva a Mannino, quello ferito a Giambanco. E sarebbe stato quest’ultimo ad armare la mano di qualcuno rimasto ignoto per uccidere il cavallo di Mannino.

Così emergerebbe da un’intercettazione. Giuseppe Anile, pure lui coinvolto nel blitz, criticava la scelta di Giambanco di lavorare assieme a Mannino: “Ma come ti sei immischiato con lui, ti ci sei immischiato… tu con lo ‘spuorco’ non ti deve immischiare proprio, perché qui sono iniziati tutti i problemi qui, io mi sono allontanato tu hai avuto tutti i problemi, ti hanno rubato il chilo, ti hanno preso per sbirro, non li hai viste queste cose”.

E Giambanco rispondeva: “Perché mi sono venuti a cercare… hai visto però il cavallo?”, come a rivendicare il gesto. In questo contesto si valuta la posizione di un veterinario chiamato per curare i cavalli a cui venne chiesto il massimo riserbo.

L’uccisione del cavallo sancì la scissione fra i due gruppi a cui se ne sarebbe presto affiancato un terzo guidato da Maurizio Di Stefano. Più che gruppi si tratta di intere famiglie. Negli affari della droga sono coinvolti genitori e figli, cognati e cugini.


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