23 maggio, ai nostri figli la memoria del passato per un futuro senza mafia

23 maggio, ai nostri figli la memoria del passato per un futuro senza mafia

E' compito dei genitori spingerli a osare

Ci sono date ed immagini che più di altre segnano la nostra vita. 23 maggio 1992. Un sabato pomeriggio a casa di una tua compagna di scuola, nella spensieratezza tipica di un’età in cui ogni cosa appare immobile e luminosa. 

All’improvviso, le prime allarmanti e frammentarie notizie. Un incidente; un’esplosione; un attentato. I genitori che vengono a prenderti cercando di spiegarti con parole comprensibili ed accorate ciò che stava accadendo.

Lo squarcio nell’autostrada

Uno stato di frenetica curiosità, di improvviso spaesamento, di spaurito sgomento per provare a capire. Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, tre agenti di scorta uccisi. Tritolo. Uno squarcio nell’autostrada. 

Da allora, tutte le volte che passi da quel tratto di autostrada ed osservi quella stele, pensi che davvero nella tua vita vi sia una frattura tra il prima e il dopo quel 23 maggio. Eri giovane allora, troppo per comprendere davvero, adagiata nella beata inconsapevolezza di quell’età.

Il 19 luglio

Poche settimane più tardi, 19 luglio. Tutti ci ricorderemo dove eravamo e cosa stavamo facendo in alcuni particolari momenti, scrisse Baricco nel primo suo editoriale successivo all’11 settembre 2001 dopo il crollo delle torri gemelle.

Domenica. Ti godevi il riflesso del sole sul mare: vita, forza, speranza. Ed, invece, in un attimo, ogni cosa si trasforma: morte, buio, paura. Le prime notizie, un altro attentato. Stavolta è toccato a Paolo Borsellino e a cinque agenti di scorta. Un’auto imbottita di esplosivo. Incapacità di razionalizzare. Smarrimento. 

Fino ad allora avevi conosciuto l’aspetto quasi folkloristico della mafia: la coppola, la lupara, l’onorata società. A scuola, in famiglia si nominavano Scaglione, Dalla Chiesa, Cassarà, La Torre, Livatino, Grassi, Mattarella: eroi, vittime della violenza mafiosa.

Mafia e antimafia

Ma da quella primavera/estate del 1992 le parole mafia ed antimafia entrano prepotentemente nella tua vita ed in quella di milioni di altri siciliani. Percepisci per la prima volta la presenza dello Stato. Osservi con timore misto a conforto i militari impegnati nell’operazione Vespri. 

Assisti alle fiaccolate, ai cortei, alle esposizioni dei lenzuoli, agli slogan. Vedi nascere movimenti civili e politici. La tua terra diventa simbolo della lotta tra Stato ed Antistato, da capitale della mafia a capitale dell’antimafia. Di un’antimafia vera o presunta, talvolta autoreferenziale; vuota ritualità o azione concreta di chi silenziosamente compie il proprio dovere nelle aule dei tribunali, tre le forze dell’ordine, nei palazzi della politica, nelle scuole, nelle associazioni, scrivendo di mafia nelle pagine dei quotidiani, denunciando storture e sopraffazioni. 

Quante altre date…

E poi c’è il 1993, Padre Pino Puglisi e Beppe Alfano. La sorda eco delle stragi di Milano e Firenze. E il 1996, il rapimento del piccolo Giuseppe di Matteo: non riesci ad immaginarne la sofferenza, vorresti tanto abbracciarlo. Ed altre date, altri episodi dei quali stavolta hai molta più consapevolezza.

Hai bisogno di comprendere. Perché proprio qui in Sicilia? Nella mia terra? Crescendo divori Verga, Capuana, Sciascia, Pirandello, complice la professoressa di lettere del liceo sensibile a queste tematiche e comprendi quanto vero sia quello che scriveva Bufalino a proposito dell’esercito di insegnanti come arma per sconfiggere la mafia.

La “bolla” degli scrittori

Gli scrittori inchiodano la Sicilia ed i suoi abitanti ad un destino irredimibile di miseria e sofferenza. Leggi di briganti, di malandrini, di politici corrotti, di malessere sociale, di lavoro sottopagato, di diritti calpestati, di un’economia parallela, dell’esistenza di un’organizzazione criminale che svolge una funzione sussidiaria rispetto allo Stato. Poi, anni dopo, studi la mafia nel codice penale. 

Adesso sei adulta. Hai la consapevolezza che ciascuno è quel che è in ragione degli eventi e delle esperienze che ha vissuto. E che anche gli eventi nefasti possano dischiudere uno spiraglio, un accesso, una soglia a cui avvicinarsi.

L’importanza di “restare”

Cosa ti è rimasto del 1992? Intanto, sei rimasta nella tua terra. In questa terra “bellissima e disgraziata”. Commistione tra coltivato e barbarico, tra civiltà ed inciviltà. Le due anime della Sicilia, l’olivo e l’olivastro, nate da uno stesso ceppo, mirabilmente evocate con questa immagine da Vincenzo Consolo, con il quale hai avuto anni dopo la fortuna di condividere tante riflessioni.

E ci sei rimasta con la precisa coscienza della realtà in cui viviamo, delle difficoltà alle quali dobbiamo andare incontro. Il saperlo è la condizione basilare del cambiamento; quegli eventi, il propellente del sentimento di riscatto. 

Ora che sei anche madre senti il dovere di perpetuare la memoria di chi è andato incontro al sacrificio estremo per provare a rendere questa terra migliore di come l’ha trovata.

Il coinvolgimento emotivo dei figli

Non è semplice parlare ai tuoi figli della Sicilia (anche) come terra di corruzione, di malaffare, di stragi, di bambini sciolti nell’acido e di corpi fatti a brandelli. Non è semplice ma ritieni sia necessario. Lo devi a Falcone, a Borsellino e a tutti gli altri (il rispetto che nutri nei loro confronti ti rende difficoltoso il chiamarli per nome). 

Sei sempre stata riservata nella manifestazione dei tuoi sentimenti, ritenendo che essi non vadano urlati o esternati oltremisura ma custoditi con saggezza, coltivati con equilibrio e condivisi con moderazione. 

Rimani nella convinzione che la vera antimafia sia quella silenziosa, data dalla qualità civile del nostro impegno e dei nostri comportamenti nel lavoro, nella società e nelle Istituzioni. 

Eppure, ogni anno, fai in modo che i tuoi figli siano sempre presenti alle commemorazioni in ricordo delle vittime delle stragi; loro che le stragi non le hanno vissute hanno la necessità di rendersi conto di quello che esse hanno rappresentato per questa terra e per il suo popolo.

L’arresto di MMD come un gol

Arriva il 16 gennaio 2023. Matteo Messina Denaro viene individuato, fermato, arrestato. Chiami tuo figlio dodicenne mentre si trova a scuola (cosa mai accaduta fino a quel momento); esulta come se la sua Inter avesse vinto lo scudetto e parla di “one of the most wanted” all’ignaro professore di scienze proveniente dall’Inghilterra.

E per te è un grande risultato. I tentativi di aprire le porte, spalancare le finestre, allargare gli orizzonti di chi non ha vissuto certi eventi sono riusciti a dare dignità a quelle vite spezzate e contribuire a far sì che il loro sacrificio non fosse vano.

Ricostruire dalle macerie

Catturato l’ultimo boss è davvero il tempo di ricostruire. Di ricostruire dalle macerie di una mafia che ha ucciso, ha massacrato ma che ha soprattutto scarnificato la dignità del popolo siciliano che ancora oggi fatica a trovare la giusta via della riscossa per liberarsi da questa terribile ipoteca. 

Si chiedeva Sciascia come si può non essere pessimisti in una terra dove il verbo al futuro non esiste, in una terra che ha timore del domani. Eppure il futuro, un futuro migliore, in questa terra speciale, lo si costruisce con il passato, con la memoria di questo passato. 

Tocca, allora, alla nostra generazione che è stata cambiata dal 23 maggio l’inderogabile compito di trasmettere ai nostri figli la dirompente forza di cambiare, di liberarci dalla mafia, dai suoi metodi e dalla sua sottocultura, spingendoli ad osare, a sradicare ciò che è radicato, a contaminare con il buono ed il bello dell’olivo le bruttezze dell’olivastro.    


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