“La veste di Matteo Messina Denaro come reggente della provincia trapanese, così come sostenuto nella sentenza di primo grado, è smentita emblematicamente anche dal contenuto delle intercettazioni effettuate nel carcere di Opera durante un colloquio tra Salvatore Riina e tale Lorusso, pregiudicato pugliese”. Così l’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio dello storico capomafia di Castelvetrano, nell’udienza che vede l’ex superlatitante imputato davanti la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
“Nelle parole di Riina – prosegue l’avvocato Vella – il padre dell’imputato viene individuato dal capo indiscusso dell’organizzazione quale capo mandamento e non capo provincia. ‘Ora se ci fosse suo padre buonanima, perché il padre era una brava persona, una bella persona’ dice Riina durante quel colloquio muovendo al contempo un’aspra critica nei confronti dell’imputato per le scelte strategiche fatte da quest’ultimo, ben lontane dalle logiche stragiste, ossia quello di dedicarsi ai profitti derivanti dal mercato dell’eolico”.
“Nella cosiddetta ‘missione romana’ per colpire personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartiti da Totò Riina come un mero soldato”. Ha affermato nel corso della sua arringa l’avvocato Vella.
Le dichiarazioni di Sinacori
“I soggetti convocati da Riina – continua l’avvocato Vella – come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ovvero quello di attuare propositi criminosi mai realizzati. E che l’imputato non conoscesse i successivi e nuovi sviluppi del piano decisi dai vertici di Cosa Nostra è reso evidente, fra l’altro, dalla circostanza, riferita da Sinacori, che tutti i partecipanti alla ‘trasferta’ furono invitati da Riina a tornare in Sicilia ‘perché qui abbiamo trovato cose più grosse’.
“Tra l’altro, tale espressione utilizzata da Riina – aggiunge il penalista – non viene nemmeno compresa sul momento da Sinacori, ma solo successivamente alla realizzazione della strage di Capaci. Dunque la circostanza che Riina, senza alcun preavviso, informi i soggetti andati a Roma che non avevano più ragione di continuare la loro attività nella Capitale, senza fornire spiegazione su quali erano ‘queste cose più grosse’ in territorio siciliano dimostra, uno che il piano stragista aveva assunto connotati e finalità ben diverse, e due che di questa nuova connotazione e finalità l’imputato non aveva contezza alcuna”.
“Avrei apprezzato fosse presente”
“Se devo essere sincera se oggi Matteo Messina Denaro fosse stato presente lo avrei apprezzato. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti e suggerimenti in ordine alla mia discussione? Questo è indubbio. Ha rinunciato, è una sua scelta e la rispetto comunque”. E’ quanto ha affermato il legale d’ufficio del boss, l’avvocato Adriana Vella, nel corso di una pausa del processo sulle stragi del ’92 che si celebra nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta, rispondendo ad alcune domande dei cronisti. “E’ stato molto difficile preparare la difesa – ha aggiunto il legale – perché ho dovuto studiare la sentenza, molti atti processuali e mi sono dovuta confrontare anche con sentenze precedenti che sono state acquisite su fatti in cui altri giudici si sono già pronunciati”.
La richiesta di assoluzione
“Sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché delle sentenze irrevocabili acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerge l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che Matteo Messina Denaro rivestiva all’interno della compagine mafiosa trapanese – ha affermato l’avvocato Adriana Vella -“. Nel sottolineare “la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista” ha aggiunto che “dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio”. Non vi è prova – ha detto il difensore – che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, né l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, né ancora supporto logistico sempre a tali fini”. “E’ di tutta evidenza che nella sentenza impugnata – ha concluso il legale chiedendo l’assoluzione – non solo non si è fornita prova diretta del consenso anche tacito dell’imputato alle decisioni delittuose stragiste, così come non vi è certezza del momento in cui l’imputato abbia acquisito consapevolezza che i delitti rientranti in questo piano sarebbero stati caratterizzati da feroce violenza”. L’udienza è stata rinviata alle 9.30 del 19 luglio, nell’aula “Costa” del Tribunale di Caltanissetta.