Sopravvivi a un viaggio da incubo. Attraversi un deserto e arrivi in Europa su un’imbarcazione che galleggia per miracolo. Superi tutto questo, pensi di avercela fatta. Ti spacchi la schiena sotto il sole con 40 gradi, vieni pagato due spicci e devi pure dire grazie. Te ne stai nascosto quando non servi nei campi, rifuggendo lo sguardo di chi ti immagina come un male necessario. Un piccolo prezzo da pagare per mandare avanti una porzione significativa di economia.
Poi, una notte, muori in un incendio divampato dentro un ex cementificio dove torni dopo una giornata di lavoro estenuante a raccogliere olive o cocomeri.
Così si vive e si muore nelle campagne della Sicilia
Così si vive in Sicilia, in Italia, in Europa. Così si muore a causa di un fornellino da campo guasto, per una bombola di gas malfunzionante o per mettere la benzina in un gruppo elettrogeno. Tutto questo succede nelle nostre campagne o negli angoli nascosti delle città. Era già successo, pochi anni fa, in una tendopoli che sembrava uscita da qualche baraccopoli sudafricana, ma che stonava profondamente col paesaggio sotto casa tra una vigna e un uliveto. Era già successo a pochi chilometri da dove, ieri notte, un rogo ha devastato la struttura informale che dava riparo a circa 400 lavoratori migranti. Ed ecco che a caldo tornano parole altisonanti e roboanti dichiarazioni. Tutti si sperticano a dire “Mai più” nella solita sfilata di sindaci, amministratori, uomini e donne in giacca e cravatta e tailleur. Impegni vuoti che annunciano già la prossima tragedia. Tragedia che puntualmente si verifica. Oggi come allora.
L’allarme delle associazioni
Da mesi associazioni come Fuori mercato -che da anni segue le vicende in quel territorio- e varie reti sociali invocavano interventi per garantire la sicurezza di quei braccianti abbandonati in una struttura fatiscente. Decine di tavoli tecnici e riunioni che rimandano ad altre riunioni in un ciclo infinito e privo di concretezza. Nel frattempo, all’ex cementificio, ogni notte si accendevano fuochi e fornelli in una continua roulette russa.
Uomini e donne tenuti sotto ricatto
Purtroppo, quello che avviene tra Campobello di Mazara e Castelvetrano non è un caso isolato. Lo dicono Libera, la Cgil, l’ARCI, Intersos e le associazioni cattoliche che si occupano di fornire assistenza, pur essendo osteggiate da chi ha interesse a mantenere queste persone in una condizione di perenne ricattabilità. Corpi da spremere finché servono ma sempre sotto scacco con la minaccia di ritorsioni o sgomberi qualora provino ad alzare la testa per chiedere i più elementari diritti.
Gli invisibili
Le nostre campagne sono piene di casolari anonimi, senza luce e servizi, in cui alloggia chi passa 12-16 ore nei campi. Dal ragusano al trapanese passando per le pianure del catanese. Invisibili. Ma proprio per questo insostituibili.
Invisibili, senza nome e magari anche senza una storia. Tanto, anche se muori di fatica o in un rogo, nei campi ci sarà subito chi prende il tuo posto. Ci saranno altre mani e altre braccia pronte per l’uso.
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